di Roberta Mazzuca – “Il teatro è morto, l’arte è morta, la cultura è morta”. Si dice spesso, nella città di Cosenza, priva ormai della sua anima e della sua storia, e oggi è vero più che mai. Con la morte di Eduardo Tarsia, fondatore dell’Officina delle Arti, muoiono letteralmente anche il teatro, l’arte, e la cultura. Perché Edoardo, attore, maestro, teatrante, artista e uomo di elevato spessore umano e culturale, non rappresentava soltanto questo. Più di ogni altra cosa, era simbolo della resilienza e della tenacia, della lotta contro il potere e contro la disgregazione. Quel potere sordo, e anche cieco, che ancora una volta chiude occhi e orecchie di fronte alla perdita di un altro pezzo di storia, di anima, e di cuore. Un comunicato di “sentite condoglianze”, e nulla più. Questo è stato riservato al maestro Eduardo Tarsia, lasciato solo da quella politica indifferente e retorica anche nel giorno del suo funerale.
Amministrazione assente, dunque. Ma comunità presente e partecipante. In quel suo teatro che tanto ha faticato a costruire e mantenere, in quel luogo in cui ha riposto ogni suo sogno, Eduardo riceve l’ultimo saluto da una folla commossa di persone: familiari, amici, artisti, allievi, e tutti coloro che, incrociando il proprio percorso con il suo, ne sono rimasti toccati per sempre. Come il regista Nello Pepe e l’attrice romano-cosentina Maria Pia Iannuzzi, giunti da Roma a portare un sentito ricordo: “Ci troviamo oggi a riflettere sul profondo impatto che una persona può avere su una comunità. Non era solo un artista, ma un amico, un mentore. Una persona che ci ha insegnato il vero significato di dedizione e amore”.
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Un amore incondizionato per il suo teatro, per il quale ha lottato duramente da ancor prima della sua costruzione; un amore incondizionato per il “fare teatro”, rispetto al quale odiava dichiararsi “professionista”, ma si riteneva “amatoriale”; un amore incondizionato per la sua gente e per la sua città, che ha fatto rivivere nei suoi spazi più angusti e abbandonati con la sua immensa cultura; un amore incondizionato per le persone e per il suo pubblico, che accoglieva, nel corso dei suoi spettacoli, con buffet, bevande, cibi, e convivialità; un amore incondizionato, insomma, per il teatro vero, quello fatto con amore, e per amore. Un teatro differente da ogni altro presente in città, e non solo per la bellezza e l’armonia di arredi, colori, e palcoscenico, tali da renderlo un vero e proprio museo del teatro, ma soprattutto per l’accoglienza, l’ospitalità e l’affetto riservata a chiunque varcasse la soglia dell’Officina, che per tutti diventava un nuovo palco. Un teatro in cui usufruire di cultura, ma in cui sentirsi a casa, in una sorta di incantevole e fiabesca magia di cui Eduardo era protagonista insieme a spettatori e attori.
E non è un caso se, anche oggi, nel giorno del suo funerale, quel teatro è diventato palco esso stesso: una grande, seppur dolorosa, festa, in cui tra poesie, ricordi, monologhi, e toccanti piccole esibizioni, ognuno ha potuto raccontare e ricordare Eduardo. Ma, più di tutti, il legame con Eduardo: tra voci rotte e pianti incontenibili, ciò che il “palco della morte” questa mattina ha raccontato, è stato il lascito di una grande eredità: l’amore per la cultura e l’umana dedizione alla vita. “Lui si faceva prendere anche a schiaffi, ma lo spettacolo doveva continuare”, “Lui sì, ha lasciato il mondo migliore di come lo ha trovato”, “E alla fine ci è riuscito, ci ha riportato tutti qua, e qua resteremo” – le frasi pronunciate di fronte alla sua salma.
E allora sì, il teatro è morto, perché Eduardo stesso era teatro. Ma, forse, nella morte resta ancora la vita. La vita di chi rimane, di chi oggi si è riunito insieme a lui, di chi oggi dice di voler restare per portare avanti quel sogno e quella dedizione, per ricostruire uniti quell’idea di teatro che Eduardo simboleggiava. Eduardo muore, ma Eduardo resta: nell’anima di chi lo ha conosciuto, nel rammarico di chi lo ha osteggiato, e nella perseveranza di chi lo ha amato. Anche nella morte, ha fatto ciò che sapeva fare meglio: rendere un qualsiasi luogo un palco, e rendere dei cittadini sconosciuti una comunità. E proprio dell’assenza di unione, nelle tante interviste che anche a questo quotidiano ha rilasciato, si rammaricava: “In questa città non c’è coesione, ognuno pensa per sé, e così il teatro muore, e la città con esso” – ci confessava spesso. L’augurio è, allora, che l’unione e il senso di comunità e di appartenenza vissuto oggi possa vivere ancora, tenendo acceso non soltanto il suo ricordo ma, letteralmente e metaforicamente, il suo teatro.
Tra applausi e lacrime, la salma si allontana, ed Eduardo lascia per sempre la sua Officina, salutato anche dal suo fedele cagnolino, che abbaia quasi come a voler dire “Mi mancherai”. E tra le ultime testimonianze, ne risuona una: “Oggi esci ufficialmente dal teatro amatoriale, caro Eduardo, e diventi per sempre un artista di serie A”. Che lo spettacolo continui.