di Mariateresa Ripolo – Facevano incetta di dispositivi di protezione individuali che avrebbero dovuto aiutare medici e infermieri in uno dei momenti più difficili per l’intero Paese.
All’inizio della pandemia da Coronavirus, mentre negli ospedali calabresi si consumava il dramma causato dalla forte carenza di personale medico e soprattutto di dispositivi indispensabili per evitare la diffusione del contagio, alcuni indagati nell’ambito dell’operazione “Inter Nos”, si appropriavano indebitamente di mascherine e si sottoponevano a vaccinazioni contro il Covid, in quel momento riservate a categorie fortemente a rischio.
È il quadro degradante che scaturisce dall’inchiesta dei finanzieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria e dello Scico, con il coordinamento dalla Dda di Reggio Calabria. Un’operazione che dimostra, secondo gli inquirenti, lo strapotere dei clan di ‘ndrangheta che continuano a dettare legge attraverso quello che i pm definiscono “un collaudato sistema di corruttela”. Tra gli indagati, infatti, ci sono soggetti uomini vicini alle cosche Serraino di Reggio Calabria, Iamonte di Melito Porto Salvo e Floccari di Locri.
Sono 17 gli indagati, accusati a vario titolo, di associazione di stampo mafioso, associazione per delinquere, aggravata dall’agevolazione mafiosa, finalizzata alla turbata libertà degli incanti, turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, corruzione, frode nelle pubbliche forniture, estorsione, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. Tra loro anche il consigliere regionale Nicola Paris, finito agli arresti domiciliari con l’accusa di corruzione.
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Il legame tra politici, imprenditori collusi e funzionari pubblici corrotti
“La corruzione è la chiave che apre tutte le porte” nel sistema collaudato che garantiva l’affidamento dei servizi di pulizia delle strutture amministrative e sanitarie ricadenti nella competenza territoriale dell’Asp di Reggio Calabria, a società i cui membri sono “legati” a varie consorterie criminali reggine.
Le attività di intercettazione sono riuscite a documentare episodi corruttivi che si collocano negli anni 2019, 2020, fino al maggio 2021. Ed è così che anche le attività di sanificazione necessarie per contrastare la diffusione del Covid diventano una possibile fonte di guadagno. In piena pandemia, infatti, i clan mettevano in atto le loro strategie per accaparrarsi i servizi straordinari di sanificazione e disinfestazione, affidati dall’Asp a seguito del diffondersi del Coronavirus, da effettuarsi nei diversi presidi ospedalieri della provincia di Reggio Calabria.
Per l’accusa, l’indagine “Inter Nos” accerta l'”osmosi tra rappresentanti politici, imprenditori vicini a consorterie mafiose, nello specifico contigui alle cosche Serraino e Iamonte, e funzionari pubblici corrotti. Il collante era quello che i pm definiscono “un collaudato sistema di corruttela”: “Regali di valore, assunzioni per i figli dei dipendenti Asp, trasferimenti in sedi più gradite, favori di vario tipo”. “Risultano documentate – scrivono gli inquirenti – plurime dazioni di denaro e regalie a soggetti con funzioni apicali in grado di poter intervenire nell’interesse della Ati e principalmente della cooperativa Helios nelle varie fasi dell’appalto del servizio di pulizia e sanificazione, dalla aggiudicazione della gara, alla delibera di proroga dell’appalto, dal controllo sulla qualità del servizio alla sollecitazione della liquidazione dei mandati di pagamento delle milionarie prestazioni fatturate”.
La “spegiudicatezza” e “il desiderio sfruttare ogni possibile risorsa della sanità”
Ma i fatti contestati vanno anche oltre. A confermare la “spregiudicatezza” con la quale gli indagati si muovevano all’interno delle strutture sanitarie reggine, c’è il triste episodio che riguarda l’appropriazione indebita di mascherine: “Ben oltre cento mascherine destinate ai medici impegnati nell’emergenza da Covid-19, in un periodo di estrema penuria di dispositivi sanitari di protezione individuale, considerati preziosissimi”. Stessa storia per la vaccinazione contro il Covid, per alcuni indagati avvenuta presso l’Ospedale Tiberio Evoli di Melito in barba alle disposizione governative, che nel momento in cui sono accaduti i fatti contestati – nel gennaio 2021 – davano ampia precedenza alle categorie a rischio, medici, infermieri, operatori sanitari e tutti coloro che sono impegnati in prima linea nella lotta alla pandemia.
Azioni, che – scrivono gli inquirenti – “confermano negli indagati il senso di impunità e di indifferenza verso la cosa pubblica, il desiderio di accaparrarsi ad ogni costo e sfruttare ogni possibile risorsa della sanità a cui agli stessi è stato consentito per troppo tempo di attingere”.