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Entra nel vivo la 38esima edizione di Catonateatro

La trentottesima edizione di Catonateatro entra nel vivo calando una coppia d’assi da non perdere. Si parte Venerdì 11 con il beniamino di casa, l’eclettico Enrico Guarneri che da anni alterna comicità a spettacoli più impegnati tra Catona e il Cilea di Reggio Calabria. Questa estate arriva con un classico della comicità del grande Peppino De Filippo, Non è vero ma ci credo per la regia di Antonello Capodici. Sarebbe, tecnicamente, una tragedia che fa ridere; popolata da una serie di tipi mostruosi, dai nomi improbabili e che sono in qualche modo versioni moderne delle maschere della Commedia dell’Arte. Un canovaccio tipico, ambientato in una città del nostro meridione, che potrebbe essere Napoli, ma anche Catania. E c’è in questo, tutto il genio di Peppino (spesso svilito per le note ragioni familiari e di critica) che amava le grandi maschere di Molière proprio perché nutrito da esso. Per dire: proprio dall’Arpagone molieriano sembra nato il taccagno appaltatore Gervasio Savastano; ossessionato dall’incubo della sfortuna.

Inutile dire che di questo materiale, il grande Enrico Guarneri, genio sia del repertorio di Peppino che di quello di Molière, fa quello che vuole: dalla vertigine della nevrosi, allo sberleffo della farsa di genere. Uno spettacolo che si presenta come un’antologia della creatività comica, un monumento all’arte sublime del far ridere. Giovedì 17 Agosto è il momento di un’altra importante presenza dei cartelloni della Polis Cultura degli ultimi anni, il grande attore Pippo Pattavina in uno dei romanzi che hanno fatto la storia della letteratura italiana contemporanea, I Vicerè di Federico De Roberto, un affresco stupefacente delle trasformazioni, degli inganni, degli equivoci, dei dolori, delle miserie, degli appuntamenti mancati e dei fallimenti, lungo due generazioni. La famiglia degli Uzeda attraversa la faglia più clamorosa della nostra gestazione nazionale, dal remoto baroque dei Borbone alla scellerata modernità piemuntés. Pubblicato nel 1894 a Catania, dopo un percorso travagliato e soffertissimo, segna, con l’insuccesso clamoroso, tutta la carriera di De Roberto.

La trasposizione scenica – ricca, viva, dinamica, kolossal – riesce a conservarne la freschezza narrativa, l’umorismo nero, lo stupore dell’intreccio narrativo; costruendo uno spettacolo umano, presentissimo e vitale sia nelle scene corali che in quelle più intime. L’Io narrante è affidato al personaggio più strepitoso del romanzo: Don Blasco, “religioso per interesse, puttaniere, baro alle carte e nella vita, straripante di vizi, bulimico di cibo, vino, donne, tabacco e – soprattutto – di intelligenza e ironia”. La regia è affidata al regista Guglielmo Ferro, ormai specializzato in grandi classici (ultimo successo La Roba di Verga presentato dalla Polis Cultura al Teatro Cilea lo scorso inverno nell’ambito della Stagione Le Maschere e i Volti).

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