di Claudio Cordova – Quando si parla di politica, si dovrebbe parlare al futuro. Non rimanere ingabbiati, anzi, impantanati, in discorsi, fatti, dinamiche, di una dozzina d’anni fa (almeno). Così come quando si parla di politica, si dovrebbe parlare di progetti, di idee, di atti realizzati. Non delle vicissitudini giudiziarie del politico di turno. Quando tutto questo non accade, una comunità ha dei problemi piuttosto seri.
Gli ultimi sette giorni hanno riportato Reggio Calabria un po’ sull’altalena, come non accadeva da tempo, in una città ormai svuotata numericamente e qualitativamente. Una città in cui non esiste una classe intellettuale degna di essere chiamata tale.
Sabato scorso, la presentazione del libro di Giuseppe Scopelliti, “Io sono libero” che, come prevedibile, è diventata l’occasione per l’ex sindaco reggino e governatore della Calabria, di effettuare un comizio, in una Piazza Duomo assolutamente piena, cosa che in pochi, oggi, saprebbero fare a Reggio Calabria. Pochi giorni dopo, mercoledì, la notizia da Roma, con l’annullamento senza rinvio della doppia sentenza di condanna per Giuseppe Falcomatà, nell’ambito del processo “Miramare”.
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Qualcosa di cui parlare, finalmente.
Il Dispaccio, da sempre, ha cercato di essere non solo un organo di stampa, non solo di svolgere un’attività di giornalismo d’inchiesta, ma anche di essere un luogo dove chi ha voglia e capacità di ragionare possa trovare le porte sempre aperte. E, allora, ho letto con attenzione e pubblicato con piacere le riflessioni che l’avvocato Massimo Canale, già candidato a sindaco di Reggio Calabria ed esponente del Partito Democratico, ha rassegnato su queste colonne sui due fatti della settimana.
Io c’ero, sabato scorso, in Piazza Duomo, alla convention di Scopelliti. C’ero perché, al netto degli obblighi professionali, sono tutto sommato un romantico nostalgico e sapevo che, nell’atmosfera, nei discorsi, nelle facce, mi sarei rituffato nei miei primi anni di attività giornalistica “vera”, una quindicina d’anni fa, ormai. Sembrava proprio di essere tornati al 2007 o al 2010, con gli slogan di sempre, “Reggio città turistica”, i “nemici della città”, i giovani che andavano in Spagna o a Malta con “Passaporto per l’Europa”.
Mi è sembrato di avere una quindicina d’anni in meno. Purtroppo era solo una sensazione svanita in poco tempo.
Dice il vero l’avvocato Canale, quando scrive che, sostanzialmente, se chi ascoltava le parole di Scopelliti non avesse saputo che a parlare fosse un condannato definitivo per reati contro la Pubblica Amministrazione, l’impressione sarebbe stata quella di avere di fronte un nuovo “caso Tortora”. L’intervento, rectius, il comizio di Scopelliti, non prevedeva un contradditorio. Altrimenti, si sarebbe potuto sorvolare anche sulle diverse affermazioni discutibili effettuate, sottolineando soltanto un dato: la condanna definitiva, che, ancor prima di essere rispettata, non andrebbe ignorata.
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E ha ragione l’avvocato Canale quando dice che non sia sicuramente un segnale confortante per il centrodestra che ancora a distanza di diversi lustri dalla prima elezione e con una condanna definitiva sul groppone, l’uomo più rappresentativo di quella compagine sia proprio Scopelliti. In quella piazza, però, come sottolinea giustamente Canale, c’era un po’ di tutto. C’erano, sì, i soliti fedelissimi, ma c’erano tanti curiosi che, forse, in questi anni, non hanno sentito alcuna Istituzione vicina. E c’erano anche pezzi di imprenditoria importante, c’era persino chi ha avversato Scopelliti e che ora, forse, nella mera speranza di diventare sindaco, prova a gettarsi sotto le sue (afflosciate) bandiere. Che imbarazzo, in quest’ultimo caso.
Dove, però, il ragionamento dell’avvocato Canale inizia, a parer mio, a diventare un po’ ingeneroso è sul fatto che, piaccia o no, ascoltare un intervento di Scopelliti, lascia qualcosa su cui ragionare, su cui confrontarsi, magari qualcosa su cui litigare.
E uno degli elementi cardine della politica dovrebbe essere proprio questo. Del resto, siamo qui a scriverci su.
Non può che essere triste che in una Città Metropolitana di 170mila abitanti la “notizia” la faccia ancora Scopelliti, che, invece, dovrebbe essere relegato all’oblio che politici condannati definitivamente hanno. Dove, invece, forse per un po’ di corporativismo, forse per non sparare sulla Croce Rossa, l’avvocato Canale sbaglia, a parere di chi scrive, è sulle motivazioni perché tutto questo possa accadere.
E’ troppo indulgente l’avvocato Canale con la sua parte politica, con il riabilitato sindaco Falcomatà. Perché quello che non dice (ma secondo me pensa) è che se a Reggio Calabria può, ancora oggi, fare “notizia” Scopelliti è esattamente per i quasi dieci anni di governo della città da parte del Partito Democratico e, nella fattispecie, di Giuseppe Falcomatà o di uno dei suoi inadeguati sostituti pro tempore.
Coloro che, non solo quando parlano, non comunicano alcunché. Ma che non lasciano nemmeno parlare i fatti.
L’azione di un’Amministrazione capace avrebbe potuto spazzare via facilmente lo “spettro” di quegli anni controversi. Perché, soprattutto all’inizio, il peso della condanna si sarebbe fatto sentire. Perché iniziare a far funzionare le cose (senza scialacquare denari) avrebbe fatto vedere alla cittadinanza che qualcosa di diverso ed efficace rispetto al “Modello Reggio” esisteva ed era possibile.
Non si è fatto niente di tutto ciò. Ci si è limitati al compitino e, a volte, neanche a quello.
Sicuramente Scopelliti ha ragione su una cosa: è stucchevole che, dopo circa dieci anni di presenza a Palazzo San Giorgio, si rivanghino ancora i problemi passati come scudo degli insuccessi. Insuccessi, sì. Perché solo chi ha una tessera di partito (del Pd, nella fattispecie) può negare come, in questi dieci anni, la città abbia fatto dei passi indietro enormi. Sotto tutti i punti di vista. Dei servizi, della pulizia, del decoro, dei trasporti, dell’apertura verso il mondo, del divertimento. In quasi dieci anni di Amministrazione Falcomatà, io e i miei collaboratori saremo andati una ventina di volte a Palazzo San Giorgio per seguire qualche conferenza stampa di interesse vero, per la città. Non di certo perché ci manca la voglia di lavorare. Men che meno convince, ora, la retorica del “terzo tempo”, che, in realtà, sembra quasi un accanimento sulla cittadinanza.
E questo non significa negare l’oscurità amministrativa del “Modello Reggio”, su cui il sottoscritto ha lavorato, scritto articoli e libri, quando molti tra i Falcomatà Boys erano ancora impegnati, legittimamente, in altro che non fosse la politica.
Scopelliti e Falcomatà, dunque, sono due facce della stessa sconfitta. La sconfitta di una città, Reggio Calabria e dei suoi cittadini. Un territorio che non si interroga più su nulla. In cui il dibattito è relegato ai convegni dove ci va solo chi deve accaparrarsi qualche credito formativo, con le Istituzioni ai minimi storici per ciò che concerne la fiducia.
Una magistratura che non ha mai fatto i conti con il caso Palamara (altro soggetto che riesce, inspiegabilmente, a proporsi con lo status di perseguitato), cui oggi, tanto il centrodestra, quanto il centrosinistra, guardano con ancora più scetticismo rispetto al passato. Se, evidentemente, per gli Scopellitiani, vi è stato un accanimento sul proprio leader (anche in termini di entità della pena), è evidente che oggi, in tanti si interroghino su un sindaco estromesso dal proprio mandato per diversi mesi, salvo poi essere riabilitato dalla Cassazione.
Un caso che arriva dopo tanti altri: si pensi ai vari Caridi, Creazzo, Siclari. E questo, forse, dovrebbe, allora, aprire anche un tema sul ruolo della magistratura nel Paese e, nello specifico, in questo territorio, dove la gestione della Giustizia degli ultimi anni ha contribuito a quell’arretramento culturale del territorio e anche silenziato il dibattito sulla ‘ndrangheta, che invece c’è ed è forte.
Ecco, vede, avvocato Canale, io sarei disposto a un confronto pubblico, tanto con Falcomatà, per dimostrare come la sua gestione abbia dato il colpo di grazia a Reggio Calabria. Sarei disposto a farlo con la magistratura reggina, che chiarisca, una volta per tutte, i suoi rapporti con il “sistema Palamara”. Ma nessuno ha più voglia di confrontarsi su nulla.
Lo facciamo noi qui, sul Dispaccio. Dobbiamo farlo parlando di Scopelliti perché questo, oggi, passa il convento. E, forse, anzi, sicuramente, non ci ridarà indietro i nostri dodici-quindici anni, ma, almeno, ci dà qualcosa di cui parlare.