Il 15 agosto del 1992, esattamente trenta anni fa, moriva Giorgio Perlasca, il cui nome resta legato al salvataggio di tante migliaia di Ebrei ungheresi. Un anniversario che non poteva essere passato sotto silenzio, nonostante il periodo festivo, e che l’Associazione Culturale Anassilaos si propone di riprendere nei mesi che verranno anche con la consegna, il prossimo 18 novembre, del Premio Anassilaos per l’Attività di Promozione Umana Promozione Umana e Sociale alla Fondazione a suo nome intitolata. Uomo che ha vissuto tutte le contraddizioni di un secolo difficile – scrive Fabio Arichetta, Responsabile del Centro Studi Storici di Anassilaos – caratterizzato da atrocità inenarrabili e dalla tragedia della Shoah, Giorgio Perlasca ha dimostrato con la sua azione e a rischio della vita come sia possibile ribellarsi, con coraggio e determinazione, alla barbarie difendendo semplicemente i valori umani.
Egli era nato a Como il 31 gennaio 1910. Negli anni Venti aderisce al Fascismo e parte come volontario prima per la guerra in Africa Orientale e poi per il conflitto in Spagna, dove combatte in un reggimento di artiglieria al fianco dei franchisti. Al termine della guerra civile spagnola, rientra in Italia, ma la sua adesione al Fascismo entra in crisi. A causa dell’alleanza con la Germania nazista e per le leggi razziali entrate in vigore nel 1938 prende le distanze dal regime. Scoppiata la Seconda Guerra mondiale è incaricato d’affari con lo status di diplomatico nei paesi dell’Est. L’8 settembre 1943, giorno dell’armistizio, si trova a Budapest, e sentendosi vincolato dal giuramento di fedeltà prestato al Re, si rifiuta di aderire alla Repubblica Sociale Italiana. Viene pertanto internato per alcuni mesi, con altri diplomatici, in un centro di detenzione da cui fuggirà. Nell’ottobre 1944 il governo dell’Ungheria viene assunto dalle Croci Frecciate, ovvero dai nazisti ungheresi, che danno inizio ad una serie di progrom antisemiti nei confronti degli Ebrei ungheresi che vengono deportati o uccisi. In questo clima di terrore e persecuzione Perlasca trova rifugio nell’Ambasciata spagnola. Viene dichiarato cittadino spagnolo con un regolare passaporto intestato a Jorge Perlasca e inizia a collaborare con l’ambasciatore Spagnolo Sanz Briz, che si adopera, insieme ai diplomatici di Stati neutrali (Svezia, Svizzera, Portogallo Città del Vaticano) a rilasciare dei salvacondotti per proteggere gli ungheresi di religione ebraica. Allorquando l’ambasciatore spagnolo lascia Budapest e l’Ungheria e il governo ungherese si appresta a chiudere le case protette che ospitavano gli Ebrei, Giorgio Perlasca si riveste dell’autorità che in realtà non ha e interviene per sospendere le operazioni di sgombero e rastrellamento. Si autonomina rappresentante diplomatico spagnolo e presenta le sue credenziali al Ministero degli Esteri ungherese che le accoglie senza riserve. Nelle vesti di diplomatico dell’Ambasciata spagnola, organizza la protezione e il salvataggio di migliaia di ungheresi di religione ebraica che sono collocati nelle “case protette”.
Ogni giorno rilascia salvacondotti che recitano la seguente dicitura “parenti spagnoli hanno richiesto la sua presenza in Spagna; sino a che le comunicazioni non verranno ristabilite ed il viaggio possibile, Lei resterà qui sotto la protezione del governo spagnolo”.
Tali salvacondotti sono rilasciati sulla base di una legge del 1924 voluta da Miguel Primo de Rivera che riconosceva la cittadinanza spagnola a tutti gli ebrei di ascendenza sefardita (di antica origine spagnola, espulsi in massa dalla regina Isabella la Cattolica) che si trovano in ogni parte del mondo. Tale Legge consente a Perlasca di portare in salvo 5218 ebrei ungheresi. Rientrato in Italia alla fine della guerra conduce una vita riservata. Il silenzio viene interrotto dall’annuncio che la comunità ebraica di Budapest che cerca notizie sul diplomatico spagnolo Perlasca. Le testimonianze dei sopravvissuti arrivano così ai media. La straordinaria figura di Giorgio Perlasca esce dall’anonimato e diventa pubblica. Lo stato di Israele lo nomina “Giusto tra le Nazioni” e con questo titolo chiede di essere sepolto nel comune di Maserà (Padova). Se per Adolf Eichmann Annah Arendt poté coniare l’ormai celebre espressiome “La banalità del Male” a Perlasca si adatta bene “La banalità del Bene”. “Vedevo –ebbe a dire – le persone che venivano uccise e, semplicemente, non potevo sopportarlo. Ho avuto la possibilità di fare, e ho fatto. Tutti al mio posto si sarebbero comportati come me. Perché, lei non avrebbe fatto la stessa cosa?”