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Paninu ca’ saddizza vs global identity. Reggio e la sfida delle feste mariane

di Alfredo Muscatello – Settembre a Reggio Calabria è un mese particolare. La città si veste a festa, le strade si riempiono di gente, la devozione alla Madonna della Consolazione diventa il cuore pulsante di un’intera comunità.

Ma c’è un dettaglio che ogni anno si impone con forza: il fumo. Non quello dei fuochi d’artificio o delle candele votive, ma quello delle griglie. Reggio, durante le feste mariane, sembra trasformarsi in un enorme barbecue a cielo aperto.

Il protagonista indiscusso? Il “paninu ca’ saddizza”. Una sorta di reliquia profana che appare ovunque, in ogni angolo della città. Non solo nelle macellerie o nelle rosticcerie, ma persino nei market, nei club, nelle botteghe che non hanno mai visto un pezzo di carne in vita loro. Tutti a vendere lo stesso panino, tutti a cavalcare l’onda di una “tradizione” che, a ben guardare, ha molto più di commerciale che di sacro. Ed è qui il punto: troppo facile rifugiarsi nella parola “tradizione”. È un concetto comodo, rassicurante, che giustifica tutto e spesso non mette in discussione nulla. Ma una città che vuole guardare al futuro non può ridursi a una griglia fumante. Non può consegnare la sua immagine internazionale a un panino unto che, fuori dai confini locali, non ha alcun potere di attrazione. Perché
il turista di oggi, lo vediamo ovunque, non cerca più solo folklore o folklore travestito da autenticità.

Cerca esperienze sostenibili, rispettose dell’ambiente, colte. La corrida in Spagna insegna: un tempo era simbolo di identità nazionale, oggi è sempre più abbandonata perché in contrasto con la sensibilità contemporanea. E allora: davvero pensiamo che il “paninu ca’ saddizza” possa bastare a portare Reggio sulla mappa globale? La risposta, chiaramente, è no. Ma qui non si tratta di distruggere ciò che c’è. Si tratta di affiancare, di trasformare. La festa mariana ha un potenziale immenso: la processione che attraversa i quartieri, le storie antiche legate al quadro della Madonna, i luoghi che portano memoria e spiritualità. Perché non renderli percorsi di pellegrinaggio internazionale, con centri di preghiera e accoglienza per fedeli di tutto il mondo? Perché non raccontare, attraverso mostre e spazi culturali, la vera storia della devozione reggina, anziché fermarsi al panino? Anche l’offerta commerciale può cambiare pelle: botteghe che vendano libri, souvenir di qualità, oggetti che restano nel tempo. La tavola, certo, non deve sparire — ma può diventare ambasciatrice di un territorio intero, non prigioniera di una sola salsiccia. I dolci tipici,
come la “nsudda”, i vini locali, le ricette sostenibili che raccontano la Calabria autentica possono essere un biglietto da visita ben più efficace. E poi c’è il mare di settembre: limpido, caldo, silenzioso.

Un tesoro che altrove farebbe la fortuna di qualsiasi località turistica. Pacchetti di soggiorno che uniscano spiritualità, cultura e mare potrebbero diventare il vero asso nella manica di Reggio.

La città ha già mosso qualche passo, i concerti durante la festa hanno iniziato ad aprire uno spiraglio diverso, ma serve molto di più. Serve un’identità che non si bruci tutta sulla brace. Il futuro della festa della Madonna non è negare il “paninu ca’ saddizza”, ma dargli il posto che merita: quello di contorno, non di protagonista assoluto. Solo così Reggio potrà presentarsi al mondo con la sua vera ricchezza: una miscela di fede, cultura, bellezza naturale e accoglienza. Una città che non si accontenta del fumo delle griglie, ma punta alla luce che può davvero brillare a livello internazionale.

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