di Alessia Tripodo – Prima donna eletta per ricoprire l’incarico di Governatrice della Regione Calabria, un quarto di secolo speso tra le maglie politiche, una malattia che sembrava aver lasciato spazio alla forza e che invece, alla fine, si rivela nefasta. È una sintesi approssimativa e perentoria, come sempre è la parola che cerca di riportare alla vita il ricordo di un defunto. Jole Santelli, all’età di 51 anni, moriva esattamente un anno fa, tra la notte del 14 e del 15 ottobre.
Dal gennaio del 2020 sedeva a capo della Cittadella Regionale – che ad oggi riporta il suo nome -, con una vittoria netta della coalizione del centrodestra al 55,3 %, distribuiti in sei liste che hanno sostenuto la candidata. Fortemente voluta dal leader del suo partito – Silvio Berlusconi -, la vittoria della Santelli non ha lasciato molto stupore: grazie al lungo percorso politico e allo stretto legame con il territorio, la sua candidatura sembrava essere da principio una carta vincente. Neoeletta si trova a dover affrontare già un problema enorme. Il virus proveniente dalla Cina – che allora si credeva non molto differente da un’influenza stagionale – inizia a diffondersi in Italia, presto anche in Calabria. Inizia un gioco di forza politica che vede da subito la Santelli in prima linea contro alcune direttive del Governo: la Calabria, su proposta della Governatrice, fu la prima Regione a tentare di liberarsi dalla stretta del lockdown con l’emanazione di un decreto che favoriva la riapertura di bar e ristoranti all’aperto. Fu un periodo di forti contrasti per la Governatrice, tacciata più volte di incuranza rispetto quella che ormai veniva definita come una pandemia mondiale.
Allo stesso tempo, lontano dai riflettori, covava un male di cui pochi erano a conoscenza. Jole Santelli, infatti, era malata di cancro già da tempo, anche se la dolorosa convivenza con la malattia non sembrava intrecciare il suo percorso politico. Anzi, in un’ultima intervista rilasciata al Corriere della Sera, la Governatrice parlando del suo tumore affermava che: “A capo di una Regione, la paura non te la puoi permettere. Non temo per me stessa, neanche un po’. Non ci si può permettere nemmeno di rimanere chiusi in casa. La politica si fa andando in sede. Io sono stata sempre lì, alla mia scrivania”.
Parole che lette a distanza di un anno dalla sua scomparsa, fanno riflettere sul percorso di una donna che – al di là delle preferenze di partito – ha portato avanti delle lotte politiche e personali con un riserbo al quale non siamo più abituati.
Entrata in politica
Nasce a Cosenza il 28 dicembre del 1968, primogenita di altre due sorelle. Dopo aver conseguito la maturità al liceo classico “Bernardino Telesio”, portò avanti i suoi studi a Roma, all’Università “La Sapienza” dove nel 1992 si laurea in giurisprudenza con una specializzazione in diritto e procedura penale. Negli stessi anni, più precisamente nel 1994, entra in politica: esordisce tra gli iscritti di Forza Italia, partito che seguirà per tutta la sua carriera. Due anni dopo, nel 1996, inizia a collaborare con l’ufficio legislativo del partito.
La grande occasione, però, soggiunge nel 2001 quando sotto il secondo governo Berlusconi ottiene l’incarico di sottosegretario alla Giustizia. Incarico poi promosso anche per il terzo governo Berlusconi, fino al 2006. Sempre nel 2001, Jole Santelli viene eletta deputato con il sistema maggioritario nella circoscrizione Calabria, nel collegio di Paola.
Per la quarta volta nel 2014 viene eletta alla Camera. Nel frattempo, con l’insediamento del nuovo governo Letta, riesce a ottenere la nomina di Sottosegretario di Stato al Ministero del lavoro e delle politiche sociali che allora era presieduto dal ministro Enrico Giovannini. Solo nel 2016 Jole ricoprirà un ruolo istituzionale nella sua città natale. Diviene, infatti, vicesindaco nella giunta guidata dal sindaco Mario Occhiuto; ruolo che porterà avanti fino alle dimissioni avvenute nel dicembre del 2019. Infatti, la sua carriera politica l’avrebbe portata ben presto a essere nominata dal suo partito (anzi, da Silvio Berlusconi stesso) come candidata alle vicine elezioni regionali del 2020. Come si è scritto in precedenza, la sua vittoria sull’avversario del centrosinistra, Filippo “Pippo” Callipo, fu schiacciante. Il “Re del Tonno” portò a casa un 30%. Jole festeggiò commossa il risultato di quelle elezioni. È significativo il discorso dell’ormai Presidente della regione a seguito dei primi risultati ufficiali: “Noi – dice la Santelli con un filo di voce – abbiamo vinto la Calabria a mani libere”. Ma anche festeggiamenti a suon di tarantelle che, pochi mesi più in là, saranno proprio al centro di durissime polemiche contro la Governatrice.
Pandemia, sanità e problemi calabresi
Che non fossimo preparati a un simile problema ce lo siamo ripetuti spessissimo in questi mesi, proprio come un mantra. E proprio come un mantra a volte è servito a rassicurarci o a rassicurare coloro che il Covid-19 l’hanno dovuto affrontare da un punto di vista amministrativo. La Neopresidente, di sicuro, non poteva essere pronta a una simile emergenza, sebbene in Calabria un tipo di emergenza in ambito sanitario, non sia mai mancata. Ma nemmeno questa difficoltà può giustificare la presa di posizione che Jole assunse nell’aprile del 2020, andando contro le direttive del Governo. Infatti, nell’allora Governo Conte-bis, si ipotizzavano graduali e metodiche riaperture. Il terrore del virus – ancora privo di analisi specifiche – era palpabile.
Eppure, cercando di parlare alla “pancia” dell’elettorato, ascoltando quegli imprenditori che richiedevano maggiore sussistenza o forse, cercando di legare il malcontento alle richieste dei leader di partito vicini alla Santelli – nello specifico, Matteo Salvini e Giorgia Meloni -, la Governatrice decise di emanare un provvedimento che avrebbe permesso alla Regione di allontanarsi dalle direttive di Roma, permettendo così ai locali, bar e ristoranti di riaprire. Letteralmente “dalla sera alla mattina”, dal 29 aprile, cioè, al 30 aprile; facendo sì che si creasse una caotica incertezza da parte di una cittadinanza già provata dalla pandemia.
Azione, questa, che le costò non solo il mal contento di parte della popolazione – nonché di alcuni stessi esercenti – ma anche delle Istituzioni. Sebbene non fosse la sola tra gli esponenti regionali a chiedere al governo centrale un trattamento diversificato tra le Regioni (ricordiamo, infatti, che durante la così detta “fase 1” la Calabria e altre regioni del sud Italia non risentirono pienamente dell’onda dei contagi), la presa di posizione apparve fin troppo netta. Persino internamente alla regione si risentiva di un clima teso tra le forse politiche. La Città Metropolitana, ad esempio, rappresentata dal sindaco Giuseppe Falcomatà, si oppose fortemente alla decisione della Presidente.
Ma anche danze estive a suon di tarantella, rigorosamente senza il rispetto delle “distanze di sicurezza” e video incriminanti dove si vede la Santelli tossire senza mascherina e poi passare il microfono al vicino. Insomma, polemiche da vicinato che, tuttavia, in quel particolare periodo erano percepite – e forse erano veramente – come questioni di importanza nazionale.
Con lo sguardo guadagnato oggi, sappiamo che sarebbe stato più utile incentrarsi su quella già fragile struttura sanitaria calabrese che avrebbe rivelato tutte le sue falle tra ospedali saturi, mancanza di personale sanitario, mancanza di automezzi di soccorso e soprattutto quelle tanto temute e previste infiltrazioni della ‘ndrangheta che dove può si ingrassa sempre, anche in tempi di pandemia.
Era tutto prevedibile, perché, a conti fatti, ancor più tradizionale della “tarantella estiva” vi sono i anacronistici problemi calabresi.
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Memorandum
Retorica, come sempre si diceva, ogni qual volta si parla di un defunto. Specialmente se in vita la persona ha acquisito una certa conoscenza pubblica. Specialmente se si tratta di un politico. E così è difficile mettere sullo stesso piano un’analisi della persona e un’analisi della carriera politica. Perché il tumore celato di Jole Santelli ci ricorda che esiste uno spazio separato, segreto, intoccabile anche se la persona sembra vivere a servizio del e grazie al “pubblico”. Ci ricorda, forse con una semplicità banale, che in fondo il far politica è solo un mestiere e che chi esercita questo mestiere non ha il dovere di essere sé stesso, non ha il dovere di esporsi, non ha il dovere di parlare della propria identità. Anche se l’elettore, a volte, vorrebbe credere il contrario, anche se lo stesso politico a volte illude del contrario.
E allora con la stessa logicità pare più che necessario creare una netta separazione. L’immagine di una donna forte, amata e odiata, ricordata con tristezza e affetto, non può bastare a chi, invece, nel rispetto di quello stesso ricordo cerca di analizzare i percorsi, le strategie e gli affari che regnano nella politica. Anche perché l’autenticità che sembra appassionare l’elettore, si conserva nel riserbo dignitoso della famiglia Santelli: loro sono custodi di una verità che non può – e non deve – essere millantata in altre forme.
Nelle recenti elezioni regionali, infatti, furono proprio le sorelle della Santelli – tramite l’avv. Sabrina Rondinelli – a chiedere di “non usare il nome di Jole per tornaconto personale”, riferendosi a quell’annuncite cronica da propaganda ma non solo. Anche “intestarsi arbitrariamente parole come continuità” risulta inappropriato, perfino se provengono dagli amici di partito. Soprattutto se provengono da loro.
Allora non possiamo che raccontare onestamente una carriera lunga venticinque anni, affermando che se è pur vero che il mandato da Governatrice non poté essere portato a termine, la gestione della pandemia ha risentito di logiche populiste su riaperture e considerazioni poco tecniche che, pochi mesi dopo la morte della Santelli, avrebbero messo in ginocchio la Calabria. Non possiamo non dire che, piaccia o non piaccia, i suoi consensi furono legati a partiti politici non proprio filo-meridionali – come la Lega di Salvini -. Non possiamo non discutere di certe polemiche che segnarono la sua carriera da parlamentare, come l’infelice battuta all’ex ministra Cecile Kyenge – durante il governo Letta del 2014 – che venne definita “fortunata” poiché essendo scura di pelle non aveva bisogno di truccarsi.
Contrari, favorevoli, piacenti o mal dicenti, poco importa. Importa un giudizio storico – degli altri, mai dei politici – e un altro, che proprio giudizio non è, trincerato in un affetto silenzioso.