Che ci fossero i presupposti (trama avvincente, stile letterario leggero e accattivante, connubio ideale tra fantasia e realtà) per assicurarsi il gradimento dei lettori, era risultato evidente già un attimo dopo che il testo era arrivato sulla scrivania dell’editore “Luigi Pellegrini”. Oggi, a corroborare le valutazioni iniziali, ci pensano i dati relativi alla vendita del romanzo “Iubris”, scritto dal giornalista Attilio Sabato, arrivato alla seconda edizione.
Ma quali sono gli aspetti che più hanno contribuito a determinare il successo di quest’opera, dedicata al tema del potere? Già il titolo Iubris – termine che nella cultura greca riassume l’identikit di quanti, a causa di una smisurata considerazione di sé, pensano, agiscono e valutano gli altri con distacco se non con tracotanza – è tutto un programma. Nel senso di inquadrare in modo efficace un elemento che dalla notte dei tempi ha segnato profondamente i rapporti tra gli individui e, dunque, la storia dell’uomo.
A fare il resto, è la trama del romanzo attraverso cui l’autore, mostrando di voler concorrere alla costruzione di un’universale prospettiva di crescita civile, mette a fuoco alcune rilevanti questioni connesse, come si diceva, alla creazione e all’esercizio del potere. O, per meglio dire, di alcuni “centri di potere”, che hanno sempre pesantemente condizionato (e tuttora, ahinoi, influenzano) l’ordinario svolgimento della quotidianità, in particolare nei piccoli centri urbani. Realtà tanto genuinamente protagoniste di vissuti semplici, spinte solidali, ricchezze umane di incomparabile importanza, quanto negativamente segnate dall’ossessiva, limitante, civicamente devastante politica di ben individuati attori locali (sindaci, medici, sacerdoti, congreghe etc.). Per cui, l’essere cittadino di questi mondi può voler dire, sia pure con modalità e forme diverse rispetto al passato, subire condizionamenti pesanti. Limitazioni gravissime, anche e soprattutto di carattere culturale. Annebbiamenti “ideologici”, alimentati da esigenze e aspettative di casta che, a fronte di una pressoché generale assuefazione, e a marcati profili di ignavia, hanno dato vita ad una quotidianità anomala. Spenta. Chiusa in sé stessa. Poco incline ad allargare il confine delle proprie conoscenze. Ad investigare la propria identità. Elementi in conseguenza dei quali i cittadini spesso sono diventati le vittime sacrificali di un gigantesco corto circuito democratico, in grado di lasciare indistinto, e dunque foriero di sempre più ampie e devastanti fratture sociali, il confine tra le esigenze reali di una comunità ed interessi rispondenti a precise logiche di potere, sideralmente distanti dalle prime.
Centrali, nel romanzo, risultano non solo gli scontri tra i notabili del luogo. E nemmeno i cambi di casacca, che maturano con facilità impressionante, purché dall’altra parte della barricata vengano assicurati onori, prebende, riconoscimenti, vantaggi di ogni genere. E neanche la mai chiarita questione dei costi della politica, soggetta a mistificazioni, populismi, ipocrisie di ogni sorta. A dispiegarsi in tutta la sua prorompente concretezza, infatti, è soprattutto il senso politico-educativo del romanzo di Attilio Sabato. La volontà di raccontare – senza mai perdere di vista l’attualità – le ferree regole e i principali attori di un mondo che non ha mai cambiato realmente fisionomia. Identità. Ruolo. E che continua ad essere condizionato da logiche clientelari, gravissime limitazioni culturali, estranee al senso più pieno, alla dimensione più vera, ai riflessi più importanti collegati all’efficacia dell’agire democratico.