Riceviamo e pubblichiamo:
Non conosco i fatti perché non ho letto le carte.
Conosco, però, molto bene l’uomo!
E in tutta verità, non penso che anche se avessi avuto conoscenza degli atti avrei espresso alcun commento su temi processuali che appartengono soltanto alle aule di giustizia ed agli addetti ai lavori direttamente interessati.
E’ solo all’interno di questi spazi che si consuma il dramma umano del processo nel suo lento divenire, attraverso l’applicazione delle sue regole, con la ricerca delle prove nel contraddittorio tra le parti in contesa, davanti ad un Giudice terzo, cui è delegata la funzione di decidere e di amministrare giustizia in nome del popolo italiano.
Di quel popolo italiano che, l’altro ieri, per nome di un Giudice di un Tribunale, ha condannato l’avv. Armando VENETO!
I fatti sono gravi, talmente gravi che sono del tutto insostenibili, quindi non credibili.
Ma la sentenza, comunque siano andate le cose, va rispettata.
E’ così che si dice nel comune linguaggio forense.
Però, in questo caso, non sono d’accordo.
Le regole consentono che una sentenza si possa impugnare davanti ad un Giudice di rango superiore e ciò accade ogni qualvolta una sentenza non la si condivide, quindi la si contesta, quindi, di fatto, non la si rispetta.
Ciò che si rispetta non si rimuove, lo si lascia così com’è!
E’, spesso, un gioco di parole per mascherare quello che, molte volte, è il sentire comune davanti a sentenze imbarazzanti che, anche senza conoscere i fatti, ci autorizzano a sostenere che l’accertamento è certamente sbagliato.
Ed è proprio vero quello che hanno detto Clara Veneto e Giuseppe Milicia: “La condanna di un innocente è l’esperienza più amara che può vivere un difensore “, che si avverte non solo quando non esistono prove a carico dell’imputato, ma, soprattutto, quando essa coinvolge figure esemplari che sono state presidio di indiscussa rettitudine e difesa dei valori essenziali della società civile.
La condanna (provvisoria) dell’Avv. Veneto ha, quindi, un peso diverso, lascia sgomenti, è, certamente incomprensibile, parimenti intollerabile!
Per tutti noi suoi discepoli, penalisti di una generazione successiva alla sua, egli è stato e rimarrà sempre il nostro grande Maestro, lo abbiamo ammirato ed apprezzato per il suo modo, così unico ed irraggiungibile, in cui ha interpretato dignitosamente il ruolo del Difensore, sapendolo tenere sempre alto in qualsiasi contesto.
Ha vestito questa figura professionale con la piena consapevolezza e con la massima responsabilità dell’importanza della funzione esercitata, divenendo sempre impareggiabile e prestigioso interprete di un ruolo che ha svolto in modo libero, senza compromessi, e nel completo e perentorio rispetto delle leggi.
Il mestiere del penalista, egli, lo ha sempre considerato come una missione, ha predicato e preteso l’osservanza delle regole, sostenendo il confronto nei libelli soltanto all’interno di questi confini, pur sempre con quel garbo e con quella innata signorilità che lo hanno contraddistinto come figura esemplare di galantuomo e di Principe dei Fori italiani.
Una toga, quindi, eccellente, candida e brillante, sulla quale mai un’ombra ha osato oscurarla, consumata da tante battaglie e da innumerevoli successi, tutti conseguiti dentro le aule di giustizia, dove solo lui riusciva, e riesce ancora, ad incantare tutti, da grande fuoriclasse del diritto che è sempre stato.
All’Avv. Armando VENETO non sono mai appartenute le politiche delle convenzioni e degli inciuci, o le squallide pratiche degli accordi.
Egli corrompeva soltanto col suo sommo sapere giuridico, con la sua vulcanica arte oratoria e soprattutto con la sua scienza di raffinato giurista, offrendo sempre a tutti – magistrati compresi -, esemplari lezioni di vita, di diritto e di onestà intellettuale.
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La sentenza del Gup di Catanzaro ha, quindi, il tempo e le ore contate, e non modificherà affatto l’alta considerazione che oramai la storia ha solennemente attribuito alla prestigiosa figura dell’Avv. Armando VENETO che, per tutti quelli che lo hanno conosciuto, rimarrà aureo esempio di persona di indiscussa rettitudine morale e professionale.
Ecco perché ritengo che il giudizio del popolo italiano non sia proprio quello espresso dal Giudice di Catanzaro.
Avv. Antonio Romeo, penalista Foro di Palmi