“Chi rinuncia alla libertà per raggiungere la sicurezza, non merita né la libertà né la sicurezza” - Benjamin Franklin
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La città (in)dolente

di Claudio Cordova – C’è stato un tempo in cui chi, da destra, ne aveva proposto e deliberato la denominazione in “Arena Ciccio Franco” si ostinava e si dannava contro chi, da sinistra, continuava a chiamarla “Arena dello Stretto”. C’è stato un tempo in cui si litigava sulla possibilità di intitolare piazza Orange a Giorgio Almirante. Lo ha fatto, per tanto tempo. Reggio Calabria ha parlato, ha discusso, spesso non con grande qualità. Gli interpreti della politica e della cultura, in fondo, sono stati sempre quello che sono. Ma anche litigare e sbraitare è un segno di vita e vitalità.

Oggi quel tempo è finito. Reggio Calabria è finita. Anche oggi, nell’anniversario – 52 anni – dell’inizio dei moti del “Boia chi molla”, tutto tace. Dall’Amministrazione Comunale, quando è scoccata e superata l’ora di pranzo, non è arrivato nemmeno un rantolo sulla ricorrenza. Né, tantomeno, la destra, che ha sempre avuto in quei fatti, unici nella storia repubblicana, un proprio cavallo di battaglia, ha proferito verbo.

Il 14 luglio del 1970 iniziavano, ufficialmente, i Moti di Reggio Calabria. Una rivolta spontanea, di popolo, contro la decisione di attribuire il capoluogo di Regione a Catanzaro. Sposata da quasi tutte le forze politiche, ma poi inglobata dalla destra. Da quel controverso personaggio che risponde al nome di Ciccio Franco. Da quel Movimento Sociale Italiano che, in quegli anni, ha raggiunto cifre e percentuali che in nessun altro luogo d’Italia ha mai ottenuto.

Ma strumentalizzata anche dalla ‘ndrangheta. E’ storia. Basta leggerla. Basta scorgere i contatti tra alcuni uomini forti di quella destra con le cosche De Stefano e Piromalli. E dirlo non significa delegittimare un sommovimento che è stato uno dei momenti di maggiore esposizione della città a livello nazionale. Una città che oggi è relegata all’anonimato. L’insipienza della classe politica di centrosinistra sta regalando alla città l’ennesima estate tristissima. Un’estate che, se non fosse per le temperature torride, non sembrerebbe nemmeno estate.

Dopo i nefasti anni del “Modello Reggio”, dopo l’ignominia dello scioglimento del Comune per contiguità con la ‘ndrangheta, Reggio Calabria è oggi relegata alla marginalità, alla mediocrità. Un tempo, almeno, faceva parlare di sé per il contrasto ai clan. Oggi nemmeno quello. Un anonimato che soffoca il territorio, che fa emergere solo i più scarsi, quelli che, in questa melma di pochezza, di comparati, ci stanno bene. Sguazzano. Come maiali in un porcile.

Non parla più, Reggio Calabria. Non si confronta più, neanche su un tema così divisivo. Un 14 luglio che è sì l’anniversario dell’inizio dei moti di Reggio. Ma che assomiglia anche, tanto, alla data da inserire sulla lapide di un città ormai senza speranza.

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