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La Legge Cartabia: lo scudo per chi vuole normalizzare la comunicazione sulla ‘ndrangheta

reggio cedir nuova 600di Claudio Cordova – I feticisti della cronaca giudiziaria forse qualche video online l’avranno anche visto. Ben prima della approvazione della Legge Cartabia sulla “presunzione di innocenza” era un parto, per i cronisti, tentare di acquisire qualche informazione (ovviamente ostensibile) sulle (poche, a dire il vero) operazioni giudiziarie effettuate dalla Dda di Reggio Calabria negli ultimi anni.

A me, personalmente, è capitato più volte di dover tentare di tirar fuori con le tenaglie al procuratore Giovanni Bombardieri qualche informazione rilevante per i cittadini e i lettori. Beninteso, non di certo sugli affiliati ai Palaia, ai Molè, ai Labate, minutaglia e melma che reca la scritta ‘ndrangheta in fronte e che, nei ranghi più bassi, vive e morirà da straccione. Ma ogniqualvolta tra le persone coinvolte vi era un professionista, qualcuno che, ogni tanto, nella sua vita, ha messo una giacca, qualcuno che è andato un po’ oltre la quinta elementare.

Insomma, la legge sulla “presunzione di innocenza” che ha la maternità dell’attuale ministro della Giustizia, è stata una manna dal cielo per alcuni magistrati. Cauti per qualcuno, non proprio d’assalto per altri. Di certo per i vertici della Autorità Giudiziaria reggina che, fin qui, non si è francamente segnalata per grandi picchi investigativi. Ma confidiamo nel futuro.

Le leggi, anche quelle pessime, vanno applicate e rispettate. Questo non è in discussione. Altrimenti faremmo come il sindaco sospeso di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, che piagnucola per essere stato estromesso in forza della Legge Severino.

La Legge Cartabia è una legge pessima. Che solo una “ciellina” poteva partorire. E, però, anche le leggi pessime vanno applicate bene. Altrimenti si fanno ancora più danni. E allora capita che, le (rare) comunicazioni ufficiali circa le attività giudiziarie siano scarne, prive di qualsivoglia particolare che possa indurre il cittadino a riflettere sulla ‘ndrangheta. Per avversarla, evidentemente.

Finanche prive dei nomi dei soggetti coinvolti negli arresti. Questo vale ed è sempre valso (non avremmo avuto bisogno della Legge Cartabia) per le vicende delicate, che hanno ad oggetto reati di tipo sessuale. E, ancor di più, se coinvolgono minorenni. Ma, proprio ieri, è stato quasi offensivo per i lettori pubblicare il comunicato stampa che dava conto (???) dell’operazione dell’Arma dei Carabinieri sulla ‘ndrangheta di Stilo. E, nei canali ufficiali dell’Arma stessa, è stato comunicato che non è possibile rendere noti i nomi, in ordine alle nuove previsioni normative.

Ma questo è, evidentemente, falso. O, nella migliore delle ipotesi, inesatto.

Precisiamo subito la gratitudine nei confronti dei Carabinieri, così come delle altre forze di polizia. Quella frase, chiaramente non condivisibile, non è di certo frutto della fantasia dell’ufficiale che l’ha scritta. Ma di precise indicazioni dell’Autorità Giudiziaria. Ogni comunicato stampa che arriva da qualche settimana, da parte di qualsiasi forza di polizia e di qualsiasi zona d’Italia, reca la precisazione di essere stato autorizzato dalla magistratura.

Ma nella Legge Cartabia non è scritto in alcun suo punto che sia vietato per magistratura e forze dell’ordine (che, lo ricordiamo, sono fonti primarie) divulgare i nomi dei soggetti attinti da misura cautelare. Per esempio, si legge: “E’ fatto divieto alle autorità pubbliche di indicare pubblicamente come colpevole la persona sottoposta a indagini o l’imputato fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili”. E, francamente, nessuno (giornalisti, magistrati e forze dell’ordine) avrebbe avuto bisogno di tale promemoria.

E ancora: “La diffusione di informazioni sui procedimenti penali è consentita solo quando è strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini o ricorrono altre specifiche ragioni di interesse pubblico. Le informazioni sui procedimenti in corso sono fornite in modo da chiarire la fase in cui il procedimento pende e da assicurare, in ogni caso, il diritto della persona sottoposta a indagini e dell’imputato a non essere indicati come colpevoli fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili”. Anche qui, in alcun punto della legge si menziona il divieto a fornire i nominativi di chi è attinto da un provvedimento così importante come la custodia cautelare. Anzi, il fatto stesso di raccomandare di non indicare l’indagato o l’imputato come colpevole, sottintende la facoltà di poterne recare i nominativi.

Quindi, resta in capo alla magistratura la divulgazione delle notizie “esclusivamente tramite comunicati ufficiali oppure, nei casi di particolare rilevanza pubblica dei fatti, tramite conferenze stampa. La determinazione di procedere a conferenza stampa è assunta con atto motivato in ordine alle specifiche ragioni di pubblico interesse che la giustificano”. E, anche in questo caso, mai si fa riferimento al divieto di fornire i nominativi.

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Che sia chiaro: non gossip, né dettagli scabrosi. Ma, semplicemente, circostanze che possono avere una importanza per la formazione di una opinione pubblica consapevole e i nominativi di chi è attinto da una misura. E, allora, è una interpretazione da parte dell’Autorità Giudiziaria. Sarebbe folle pensare che alti magistrati possano non aver compreso il senso e la ratio della Legge. Scelgono, quindi, di non divulgare. Di non mettere nelle condizioni i cittadini di sapere, tramite fonti ufficiali, quanto accaduto.

Tertium non datur.

E non si può non chiedersi il perché di tutto questo. Se a qualche cortigiano questo piace, contento lui. Ma questo modo è inaccettabile. Perché, lasciatecelo dire, una notizia senza nomi, non è una notizia. E questo non significa che noi giornalisti abbiamo solo voglia di pubblicare pedissequamente comunicati stampa. Parla chiaro la mia storia circa la voglia di andare oltre la comunicazione ufficiale. Quindi la notizia, se si ha la voglia e le capacità, la si va a ricercare. E, infatti, i nomi siamo un po’ tutti capaci di scriverli autonomamente, fornendo quindi le informazioni corrette. Lo abbiamo fatto anche ieri. Con le garanzie che spettano a tutti. Ma anche con le notizie che la cittadinanza merita di sapere.

Aggirando il “Minculpop” istituito usando come scudo la Legge Cartabia. Perché, come sappiamo, la ‘ndrangheta si nutre anche di silenzi. Di disinformazione. Di una certa propaganda.

Io ho vissuto e lavorato in Messico. E vi posso assicurare che non è sano vivere in un Paese dove si arrestano 9 persone (come avvenuto ieri a Stilo) e la magistratura, che è una Istituzione e un potere dello Stato non comunica chi siano queste persone. Anche a tutela degli stessi soggetti coinvolti. Non è questo il garantismo sancito dalla nostra Costituzione. Non è questo il garantismo che fuoriesce con nitidezza dalle nobili pagine di Cesare Beccaria.

E che adesso qualcuno, per ragioni politiche e per codardia, vuole trasformare in un flusso di notizie inesistente. Degno di Paesi che, proprio in queste settimane, ci stanno mostrando la loro violenza e il loro spregio della democrazia.

L’arresto di una persona, a meno che non si viva (e non si ami vivere) in quel tipo di Paesi, è e deve essere un atto pubblico. I cittadini devono sapere. Non per loro voyerismo. Non perché si ami guardare dal buco della serratura. Ma anche a tutela degli arrestati stessi. Lo sanno tutti. Anche chi ha scritto la Legge. E anche chi la applica in maniera inadeguata.

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