di Paolo Ficara – Se esistesse la possibilità di rinascere ed incarnarsi, a scelta, in uno tra Bill Gates, Elon Musk o Maurizio Poli, un tifoso della Reggina non avrebbe dubbi. Oltre a vivere da protagonista i più grandi successi con l’amaranto addosso, ognuno di noi vorrebbe possedere la tempra di quel terzino, prima ala e poi mediano, che per anni ha giocato di fatto senza un ginocchio. Esordendo in Serie A con 35 primavere sulle robuste spalle, in casa della Juventus.
Maurizio Poli sta alla storia della Reggina come George Best sta a quella del Manchester United. Idealmente, è il 3 che marca il 7. Il nostro dna si può racchiudere in una delle massime di Jurgen Klopp, ormai ex allenatore del Liverpool: “Non lavoro per guidare la squadra migliore al mondo, lavoro per poterla battere”. Noi, Poli, lo vediamo proprio così. Forse non ha mai fatto parte, in dieci lunghi anni a Reggio Calabria, di una squadra più forte di tutte le altre. Prima in C, poi in B, figuriamoci in A. Ma ha sempre fornito l’esempio, circa l’atteggiamento giusto per battere chi ci era superiore.
Quando lo chiamiamo per celebrare assieme a lui, idealmente, il 25° anniversario della prima storica promozione della Reggina in A, gli diciamo proprio che vorremmo reincarnarci in lui: “Così è troppo. Però mi fa piacere. I ricordi quel 13 giugno? Avevo troppa adrenalina – afferma Maurizio Poli al Dispaccio – Giuro, devo ancora connettere. Secondo me, abbiamo fatto un miracolo. Nessuno ci sperava”.
Poli è tra i primi ad inseguire Tonino Martino, dopo il gol al 65′ di Torino-Reggina: “Ero il più vicino. La partita era troppo importante, ci giocavamo la vita. Mi sarebbe piaciuto rimanere a Reggio per allenare i ragazzini. Poi mi hanno mandato via, facendomelo dire da Colomba”.
Persona genuina e realmente privo per scelta di tecnologia moderna, Maurizio Poli apprende da noi che Bruno Bolchi è venuto a mancare nel 2022: “Ad essere onesti, Gustinetti non aveva fatto male. Ma in 6 partite, Bolchi è riuscito a tenere il gruppo unito. Ha trasmesso serenità, la situazione si sentiva”.
Proviamo ad indurre Maurizio a lasciarsi andare ai ricordi di quella partita a Torino e di quella stagione: “Dopo il fischio finale, c’era una marea. Mi sono levato la maglietta e l’ho buttata per aria. La magia era il gruppo, che ha reagito bene. La società era vicina ai giocatori. I tifosi ci seguivano sempre”.