di Paolo Ficara – Da tanto, troppo tempo, non strappiamo un sorriso agli amanti della filmografia di Bud Spencer e Terence Hill. E da tanti, troppi giorni, ci viene in mente una scena del film “Chi trova un amico, trova un tesoro”. Quella in cui il giapponese continua a presidiare un fortino, anche a distanza di trent’anni dalla fine della seconda guerra mondiale. Ha rinunciato alla propria vita di tutti i giorni, pur di proteggere la postazione. E quando vede avvicinarsi il carro armato degli americani, rappresentati da Bud Spencer e Terence Hill, dà fondo alle proprie antiquate munizioni.
Ma nessuno lo ha avvertito che la guerra è finita. Pure da un pezzo. E quel tesoro milionario su cui i due protagonisti vorrebbero mettere le mani, custodito all’interno del fortino, per lui è carta straccia.
Volendo trovare un paragone cinematografico, per rappresentare ciò che sta vivendo la Fenice, non ci viene in mente di meglio. Però il samurai del film, incarna valori fin troppo elevati. Tornando al calcio, troviamo ancora più calzante il paragone con Reggina-Messina del 30 aprile 2006.
Stiamo 3-0, ormai. Con i tre gol rappresentati da marchio, stadio e centro sportivo. I quali, ormai è evidente, avranno un unico titolare. Così come è più facile immaginare Ballarino con la frangetta, piuttosto che vederlo prevalere economicamente su qualsivoglia gruppo imprenditoriale individuato dal sindaco Giuseppe Falcomatà.
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A srotolare l’immenso striscione con una B grande quanto tutta la curva sud, è stato proprio il primo cittadino. E la Fenice è come Gianpiero Ventura, allenatore di quel Messina, che in sala stampa dopo il triplice fischio ancora non si rendeva conto della retrocessione matematica. Ciò che i reggini stanno comprendendo, è che la Fenice sta ormai vestendo i panni del Messina, in questo ipotetico paragone.
Mentre la Reggina siamo noi. Noi gente per bene di Reggio Calabria. La maggioranza assoluta. Non di certo quei prostituti intellettuali, impegnatisi a diffondere il verbo prima di Cardona e poi di Ballarino. O ad assecondarne le volontà, fin quando è convenuto. La guerra è finita, e voi avete perso di brutto.
Qui c’è da far rinascere la Reggina. E con essa, il Sant’Agata. Nonché lo stadio Granillo. Già dopo la prima uscita pubblica di Falcomatà sull’argomento Reggina, ci eravamo permessi di suggerire la resa. Con tanto di titolo sportivo appoggiato sull’uscio di Palazzo San Giorgio. A meno che non ci sia, da un lato, la voglia di fare un dispetto alla città intera; dall’altro, le risorse per chiudere economicamente la stagione in corso, ed iscriversi alla prossima. Ogni smentita in tal senso, andrebbe oltre quelli che già rappresentano una serie di insulti all’intelligenza delle persone.
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La maggioranza delle persone che bramano la Reggina, e la immaginano tra le mani giuste, riteniamo siano di buone maniere. Ma occhio a non abusare della pazienza di questa gente. Noi stessi, fin qua, nel considerare la Fenice per quello che è, abbiamo dedicato sì e no il 30% delle critiche che avrebbe meritato. Non fate arrabbiare il sindaco. Non fate arrabbiare il tifoso decomparizzato. E non illudetevi del fatto che i pochi ignobili saliti dall’inizio sul vostro carro, non siano già pronti a gettarsi giù.
La presenza della Fenice nella città di Reggio Calabria, è frutto di un business plan definibile come fuorviante. Per usare un eufemismo. Noi ci siamo regolati molto presto. Non venendo allo stadio. Basta rileggere gli articoli pubblicati da gennaio in poi, sul Quadrante Amaranto, per trovare in ampio anticipo la descrizione di ciò che sarebbe accaduto nei mesi successivi. Non l’abbiamo mai chiamata Reggina.
E non siamo noi a chiedere alla Fenice di andarsene, bensì il primo cittadino. Fin qui, lo ha fatto in maniera oltremodo elegante. Lo abbiamo visto incavolato solo ai tempi del lockdown, nelle esternazioni pubbliche. Noi ci incavoleremmo di brutto, solo se Ballarino scrivesse “Reggina” nella sua prossima lettera di presentazione, in aggiunta all’elenco che comprende squadroni come Acireale o Mazara. Avrà la grande possibilità di scrivere la verità, nell’aggiornare il curriculum come direttore generale della Fenice.