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Malasanità a Vibo Valentia, il grido di protesta della famiglia Giuliano: “Mio padre fatto morire in Pronto Soccorso. Ormai qui è la normalità,bisogna dire ‘basta’”

Riceviamo e pubblichiamo la segnalazione della famiglia Giuliano:

“Buongiorno,
Ho l’urgente necessità di condividere l’ennesima atroce storia di negligenza medica che il 14 Settembre 2023 ha coinvolto mio padre Giuliano Giuseppe presso il Pronto Soccorso di Vibo Valentia.
Un episodio di una gravità inaudita che conferma l’andazzo a Vibo Valentia quasi come se morire in Pronto Soccorso sia una normalità.
La vita del mio amato papà è stata tragicamente fatta cessare a causa di un terribile caso di malasanità, uno dei tanti che affliggono questa amara provincia.
Molte persone soffrono ingiustamente in silenzio, rassegnati, ma ora è il momento di gridare “basta”. È vitale che tutti siano a conoscenza della tragedia che si è celata dietro le porte di quest’ospedale.
Mi sento in dovere di raccontarla, poiché non possiamo accettare una morte così insensata, causata dall’indifferenza e dalla negligenza del personale sanitario.
Non possiamo permettere che gli autori di queste negligenze rimangano impuniti facendo soffrire amaramente altre persone e le loro famiglie.
Lo facciamo in nome di mio padre, di noi stessi e di coloro che non hanno la forza di lottare, ma che soffrono in silenzio.
Vogliamo gettare una pietra nello stagno, affinché il nostro grido sia un segnale per sensibilizzare le coscienze e impedire che tali negligenze e sciatterie sanitarie continuino nell’indifferenza a danneggiare la salute dei cittadini.
Ora che abbiamo fatto partire le denunce alla Procura, accompagnate dal clamore mediatico, diverse persone che hanno subito episodi di malasanità (riportandomi situazioni al limite dell’umanità) mi hanno contattato e hanno fatto propria questa sete di giustizia (diverse vengono “avvicinate e scoraggiate” nello sporgere denuncia o avvisare la stampa, casi del genere capitano purtroppo ogni settimana).
Quello che sentiamo di portare avanti è principalmente per mio padre (instancabile lavoratore, persona per bene, ben voluto e amato da tutti), per i tanti che non hanno la forza o gli strumenti per reagire subendo con rassegnazione e frustrazione, perché tutto ciò non riaccada con questa sciatteria e menefreghismo sanitario.
Abbiamo deciso di investire qui, nella nostra terra, di migliorarci, di creare indotto e spenderci amorevolmente e con tanta passione ogni giorno per il nostro territorio ma i servizi minimi devono essere garantiti. Non è possibile che una persona che arriva in pronto soccorso in auto, viene lasciato parcheggiato per ore a morire (l’ambulanza ci avevano comunicato due ore e mezza di attesa, ma purtroppo nella zona è diventata una prassi).

Di seguito la ricostruzione degli eventi fatta dalla famiglia:

Sintomi prima di essere portato in ospedale:
La mattina di Giovedì 14 Settembre 2023 il paziente si è svegliato con brividi di
freddo e presentava una temperatura corporea di circa 38°C. La pressione oscillava
circa 80 e 90 la massima, mentre la minima tra 45 e 60 circa.
Verso le ore 11 e mezza la frequenza cardiaca oscillava tra 90, stabilizzata a 75/76.
Il paziente si alzava dal proprio letto con una gamba gonfia, e con un dolore
abnorme alla stessa.
La gamba sinistra era molto gonfia, compresa la coscia che presentava puntini rossi,
Il paziente lamentava molto dolore localizzato soprattutto al polpaccio sinistro.
Avvertiva moltissima stanchezza, spossatezza, e a tratti momenti di stato
confusionario.
Si procedeva a chiamare l’ambulanza circa le ore 14:00. Il 118 rispondeva
comunicando che c’era un’attesa di tre ore circa, in quanto occupati con altri casi.
Lo stesso operatore consigliava se era qualcosa di urgente di accompagnarlo in
macchina.
Si è proceduto così, ad accompagnare il paziente al Pronto Soccorso di Vibo
Valentia. Si specifica che il paziente dal proprio letto è salito in macchina con le
proprie gambe (facendo anche le scale).
Si è giunti al Pronto Soccorso alle ore 15:00 circa.
Appena arrivati, non si notava affollamento, tant’è che il paziente è stato preso
subito in carico.
Gli operatori hanno effettuato il tampone. Dopodiché il paziente è stato
accomodato su una lettiga e spostato in una saletta del Pronto Soccorso. Alla
moglie non è stato consentito di accompagnare il marito all’interno per i protocolli
CoVid (che non sono più in vigore).
La moglie insisteva a chiedere informazioni sulle condizioni del marito, allorché il
medico presente rispondeva testuali parole:
“Signora se non abbiamo tutti gli esami, non possiamo fare la diagnosi”.
Ancora molto preoccupata, la moglie, ha chiesto ad un’operatrice del personale
sanitario (la stessa che ha effettuato il tampone all’accettazione) se poteva andare a
chiedere informazioni riguardo lo state di salute del marito e se avessero eseguito la
TAC e se gli esami di laboratorio fossero pronti.
L’operatrice si reca all’interno, e al ritorno, comunica alla Signora “Suo marito deve
fare la TAC, mentre per quanto riguarda gli esami non sapeva rispondere in quanto
il medico stava scrivendo” – erano circa le ore 17:15.
Non avendo notizie alle ore 17:36, il figlio Tonycristian Giuliano lo telefona, ed il
paziente risponde alla telefonata.
Rispondendo il paziente, lamentava brividi di freddo, allorché il figlio Tony chiama la
madre, portandola a conoscenza delle lamentele del padre, invitandola a chiamarlo
immediatamente.
Alle ore 17:37 la moglie chiama il paziente al telefono, il quale risponde replicando di
avvertire freddo e la moglie lo invita a chiedere una coperta al personale del Pronto
Soccorso.
Dopo una decina di minuti, la moglie ha appreso da una ragazza che si trovava
all’interno del Pronto Soccorso per accompagnare lo zio, che la coperta era
presente, e che la stessa ragazza l’ha sistemata per coprirgli anche i piedi.
Dopodichè il paziente non ha più risposto alle chiamate sia della moglie che dei
figli, più precisamente alle chiamate successive le ore 18:00 circa (come si può
evincere dai tabulati telefonici).
In questo frangente temporale nessun operatore del personale sanitario è uscito
per comunicare lo stato del paziente e nemmeno per chiedere informazioni sulla
situazione clinica passata del paziente stesso.
Verso le ore 19:15 una dottoressa insieme ad un’altra operatrice sanitaria usciva dal
Pronto Soccorso comunicando al figlio Stefano Giuliano testuali parole “è morto”,
senza dare alcuna spiegazione o motivazione riguardo le cause della morte e
rientrando immediatamente all’interno del Pronto Soccorso.
Allorchè il figlio Stefano Giuliano chiede di poter vedere il padre, e le Guardie del
Pronto Soccorso gli dicono che deve aspettare prima di entrare, facendo barriera
all’entrata.
Solo successivamente è stato permesso al figlio e alla moglie di entrare.
Quando la moglie è entrata nella stanzetta dov’era presente il marito ormai
deceduto, ha chiesto spiegazioni al medico presente, il quale ha risposto “Signora
lei sa che suo marito aveva dei problemi”, chiedendo nuovamente di che cosa è
morto, il medico replicava “Signora chiedete a Milano” (questo perché il marito
aveva subito un intervento chirurgico all’Ospedale Niguarda di Milano).
La moglie ha notato che il marito non aveva alcuna flebo nè alcun altro macchinario
per il monitoraggio dei parametri vitali (ad esempio per monitorare il battito
cardiaco, la saturazione, ecc..)
Vista la gravità della situazione alle ore 19:50 la moglie chiamava il numero di
emergenza 112.
Dopo circa mezz’ora, si presentano i carabinieri presso il Pronto Soccorso, i quali
hanno fatto accesso al Pronto Soccorso e chiudendosi con il medico Paolo
Leombroni in un ufficio.
Successivamente quasi tutta la famiglia disperata si riuniva fuori con i tanti amici e
conoscenti accorsi.
Allorquando il Brigadiere dei Carabinieri, comunica al figlio Fabrizio Giuliano
davanti una platea di persone: “Allora Signor Giuliano abbiamo visto dalle
telecamere che lei e gli altri suoi fratelli avete fatto delle foto all’interno della stanza
dove è posizionato la lettiga con il corpo di suo padre”.
Successivamente lo stesso Brigadiere intimava ai figli di eliminare le fotografie
effettuate.
Una nota particolare: dopo che è stato comunicato il decesso, dopo le ore 21:30 i
pazienti venivano invitati ad uscire dalla stanza perché il personale medico sanitario
doveva effettuare l’ECG. Inoltre una guardia all’arrivo prendeva sottobraccio il figlio
Fabrizio Giuliano dicendogli “c’è stata pure la TAC rotta”.
Dopo le 23:00 circa veniva comunicato che la salma sarebbe stata spostata
all’Ubitorio.

E la lettera aperta della famiglia al Presidente Roberto Occhiuto:

 

llustre Roberto Occhiuto, la tragedia della sanità in Calabria (con Vibo Valentia a portare la bandiera) continua ad essere un’oscura e incivile pagina della storia della nostra Regione. Al pari delle altre regioni d’Italia, il diritto ad essere curati dovrebbe essere garantito, purtroppo tutto ciò a Vibo Valentia non è scontato. Ci troviamo di fronte ad una realtà in cui la vita umana sembra essere spesso ignorata. È un sistema marcio, corrotto dall’indifferenza, dall’inerzia e dal malaffare, dove il valore di una vita umana viene spesso sacrificato sull’altare della negligenza, del menefreghismo e della completa “sciatteria sanitaria”. Si proprio così, “sciatteria sanitaria” perché ogni qual volta si ha bisogno di curarsi si ha l’impressione di percepire un mix di adrenalina e ansia al pari di una puntata alla roulette russa. In Calabria, la morte sembra essere diventata una statistica, un numero tra i tanti. Le persone soffrono e muoiono senza ricevere le cure di cui hanno bisogno, mentre chi dovrebbe proteggerle e curarle sembra voltare lo sguardo altrove. Il dolore delle famiglie, costrette a vedere i propri cari andarsene prematuramente, è amplificato dall’impotenza di fronte a un sistema che non funziona, un sistema appunto marcio da dentro. È un appello alla coscienza di tutti noi, ma sopratutto alla vostra, che siete i nostri rappresentanti, affinché si metta fine a questa indifferenza verso la sofferenza umana. Oggi a morire inerme per mano di un’equipe di lestofanti e negligenti è stato il mio caro papà, ma Le prometto che non ci arrenderemo di fronte a niente e nessuno pur di arrivare a far chiarezza sulle responsabilità di ognuno. Ogni vita conta, e nessuno dovrebbe morire “come se niente fosse” a causa di mercenari sanitari perché i medici, quelli animati da “vocazione alla missione”, sono ben altro”.

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