“Le carceri italiane sono piene di pazzi che nessuno cura, sono piene di tossicodipendenti che non si cerca di far disintossicare. Perché non ci sono i soldi. Perché non si sa dove metterli. Poi il Governo ha stanziato 28 milioni di euro per costruire una Casa dell’Amore in ogni carcere. Ogni mese i detenuti di massima sicurezza, cioè che non possono avere permessi, possono incontrarsi per 24 ore con i partner. Queste cose non possono passare come acqua fresca”. Inizia così l’intervento del Procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri all’Anfiteatro del Porto a Tropea. Ospite di Link – Tropea Communication Meeting, Gratteri è, come al solito, un fiume in piena. Ha parlato con Paola Bottero, direttore strategico del Gruppo Pubbliemme-Diemmecom, LaC Network e ViaCondotti21, di giustizia, della riforma Cartabia che definisce ironicamente ”una perla”.
“Sulla Giustizia negli ultimi anni sono stati fatti dei macelli. Leggete il papello di Riina. Leggete il programma politico di Licio Gelli e della P2. Poi guardate le ultime riforme della Giustizia. Vi renderete conto che sono piene di riferimenti a quei personaggi. E questo succede nella totale indifferenza dell’opinione pubblica”. Quanto alla sua mancata elezione alla Procura Nazionale Antimafia e alla sua candidatura al Csm, “io non avevo nessuna intenzione di candidarmi al Consiglio Superiore della Magistratura – dice Gratteri – Io non sono un uomo di mediazione. Sono abituato a non uscire da una riunione senza aver preso una decisione, non posso andare in un organismo dove la mediazione è il pane quotidiano”. “Al Csm – aggiunge – è sempre una scelta al ribasso. E io non potrei stare per anni lì a guardare accordi e scambi. La riforma del Csm ha peggiorato, se possibile, la situazione. Non ho mai pensato di andare al Csm – dice – Mi piaceva farlo pensare, mi piaceva vedere i potenti avere paura, mi hanno ballato per un anno sulla pancia per la Procura Nazionale Antimafia. Ho detto ‘ora per un paio di mesi mi diverto io'”.
E parla, il procuratore, naturalmente, di mafie. Lo fa insieme ad Antonio Nicaso, suo grande amico e uno dei maggiori esperti di ‘ndrangheta al mondo. “Se non avessero la legittimazione dello Stato le mafie si sarebbero già estinte” dice, e rilancia: “Sento la puzza di complicità anche sulle stragi di Capaci e Via D’Amelio. Perché non vengono declassificati i dossier? Perché non si tolgono i sigilli? Io lo voglio sapere da quale apparato dello Stato è arrivato l’ordine di far sparire l’agenda rossa di Borsellino”. I giornali e la Rai sono uno dei bersagli dell’invettiva di Gratteri, colpevoli di inseguire le reti private, di assecondare la pancia del Paese. Sono lo specchio di un’Italia che negli ultimi 30 anni ha visto sprofondare il suo livello culturale. “I giornali non parlano di mafie da decenni, alla gente non interessa” dice. “Io sono un problema per il potere, non sanno dove collocarmi – aggiunge ancora – Dico cose che gli altri hanno paura di dire, hanno paura di dispiacere i potenti, di non prendere i voti. Io sono un uomo libero. Non mi interessa niente, la cosa più bella è la libertà”. E chiude, ridendo della sua stessa vita blindata, degli attacchi che subisce dai detrattori ogni giorno, della ‘ndrangheta che da più di trent’anni lo minaccia di morte. “Mi stanno facendo diventare Mandela”, ride di gusto. E la platea, come al solito, ride con lui. E applaude.