Oltre 7,6 milioni di euro. E’ la cifra che, riporta Agipronews, il superpentito Mario Gennaro (arrestato nell’ambito dell’operazione “Gambling” condotta nel 2015 dalla procura Antimafia di Reggio Calabria) dovrà versare al fisco. Gennaro, che con le sue rivelazioni a diverse procure è stato decisivo nel contrasto al gioco illegale online, è stato condannato in via definitiva dalla Corte di Cassazione al pagamento dell’imposta unica non versata sulle scommesse. I giudici hanno respinto il ricorso per l’annullamento della cartella esattoriale inviata da Agenzia delle Dogane e Agenzia delle Entrate a Uniq Group Limited, la società maltese di cui Gennaro era stato nel 2012 amministratore di fatto. I legali del ricorrente, contattati da Agipronews, non hanno rilasciato commenti.
IL RICORSO – Il ricorrente sosteneva che l’avviso di accertamento relativo al pagamento fosse stato “notificato unicamente alla società e non al contribuente”, motivo per il quale “l’efficacia di giudicato verificatasi nei confronti della società non potrebbe operare nei confronti del contribuente”. Ha osservato inoltre che “l’estensione del giudicato dalla società al socio presuppone che il socio o il legale rappresentante abbiano beneficiato di un riparto nel bilancio finale di liquidazione”. La decisione della Commissione Tributaria del Veneto oggetto del ricorso – secondo i legali di Gennaro – non avrebbe inoltre “tenuto conto dei limiti applicativi del sistema sanzionatorio a carico delle persone giuridiche, che prevede la responsabilità della sola persona giuridica e l’inestensibilità della responsabilità alla persona fisica” e che nelle confische di beni sequestrati “i crediti erariali si estinguono per confusione” e non sono quindi dovuti.
LA DECISIONE – La Suprema Corte, prosegue Agipronews, ha però ritenuto infondati i motivi presentati dal ricorrente, spiegando che “l’accertamento in fatto compiuto dalla sentenza impugnata in relazione a quel giudizio, secondo cui la società contribuente, avente stabile organizzazione in Italia, vedeva il contribuente non solo quale rappresentante fiscale, ma anche amministratore di fatto e che l’originario avviso di accertamento impugnato in quel giudizio e su cui si è formato il giudicato è stato notificato al contribuente quale amministratore di fatto”, tanto che “è stata confermata la legittimità dell’avviso”. La Cassazione ha inoltre condiviso le affermazioni del Pubblico Ministero, secondo cui “l’atto impositivo gli era stato notificato quale amministratore di fatto, dirigendo in tal modo verso di lui, proprio per tale qualità, le ragioni impositive. La responsabilità del ricorrente, peraltro, proprio a causa della sua qualità di amministratore di fatto, era stata accertata nel merito”.