Nessuna illegittimità nel decreto con il quale, a fine agosto 2021, fu nominata la Commissione straordinaria per la gestione del Comune di Rosarno (Reggio Calabria) dopo il suo scioglimento a causa di presunte forme d’ingerenza della criminalità organizzata che avrebbero esposto l’amministrazione a pressanti condizionamenti, compromettendone il buon andamento e l’imparzialità dell’attività.
L’ha deciso il Tar del Lazio con una sentenza con la quale ha respinto un ricorso proposto da ex amministratori del comune del reggino (sindaco, vicesindaco, assessori, presidente del consiglio comunale, e un consigliere comunale).
Con il primo motivo di ricorso si lamentava l’irritualità della nomina della Commissione straordinaria di gestione dell’ente, giacche’ tale designazione non era stata successiva allo scioglimento del consiglio comunale (organo gia’ sciolto con le dimissioni di oltre meta’ dei componenti). Il Tar ha ritenuto la censura non accoglibile. “L’affidamento della gestione comunale ad una commissione straordinaria di nomina statale – si legge nella sentenza – può conseguire sia ad uno scioglimento d’imperio sia nell’ipotesi di preesistente cessazione di funzionamento degli organi comunali per altre cause”.
Successivamente con dieci sotto-motivi si censuravano in maniera parcellizzata singoli aspetti dei provvedimenti di commissariamento. I giudici, dopo alcune premesse d’ordine generale sulla natura del provvedimento e sulla profondità dell’esame giurisdizionale, hanno passato in rassegna le varie sotto-censure arrivando a ritenere che anche in questo caso nessun accoglimento possa essere accordato.
La conclusione è stata che, quanto esposto con il ricorso “consente di reputare non illogico o incongruo il globale giudizio degli organi statali sull’operato dell’amministrazione comunale che con condotte rilevanti, inequivocabili e concrete non poneva in essere quell’opera di vigilanza e controllo dell’apparato burocratico, che potesse evitare ingerenze da parte della criminalità organizzata, i cui esponenti comunque avevano (anche solo autonomamente) ritenuto comunque di trarre vantaggi dall’esito delle consultazioni elettorale del 2016”.