Nega ogni responsabilità nell’organizzazione del viaggio e nega di avere fatto parte dell’equipaggio del caicco naufragato sulle coste crotonese il 16 febbraio scorso. E a sua supporto è giunto anche il fratello, che vive in Italia e che ha inviato al difensore un biglietto con scritta sopra la prima tanche del pagamento fatto per viaggiare su quell’imbarcazione diretta in Italia.
Arslan Khalid, 25enne pakistano, è stato arrestato con l’accusa di essere uno degli scafisti dopo essere stato indicato come tale da altri sopravvissuti alla tragedia. Adesso, dice all’ANSA il suo avvocato, Salvatore Perri, “stanno emergendo elementi che dimostrano, come sostenuto sin dall’inizio, che il mio assistito era su quella barca come migrante al pari degli altri e non era lo scafista”.
Il fratello di Arslan è partito da Verona, dove vive da anni, subito dopo avere saputo dell’incidente. Ed al legale ha consegnato il bigliettino che rappresenta la ricevuta della prima tranche del pagamento.
“Quanto sta emergendo – afferma Perri – conferma quello che il mio assistito ha detto fin dal primo momento agli inquirenti”. Già nel primo interrogatorio a cui è stato sottoposto dagli investigatori, Khalid aveva negato di essere uno scafista.
“Non ho mai aiutato i 4 soggetti che si alternavano alla guida – ha detto nell’interrogatorio – nè ho mai ricevuto disposizioni di nessun genere da questi. Riferisco che per intraprendere il viaggio mio padre ha pagato 7.000, 00 euro ad un trafficante del quale avevo il recapito telefonico segnato su un foglio, il quale è andato perduto durante il naufragio.
So che fa il sarto di mestiere in Pakistan ma di fatto si occupa di traffico di migranti. Non l’ho mai incontrato personalmente ma un conoscente mi ha messo in contatto con lui.
Mio padre doveva consegnare l’importo ad un tramite, indicato dallo stesso, che lo avrebbe ricevuto una volta che io avrei riferito di essere arrivato in Italia. Appena arrivati vicino la costa italiana, prima che la barca affondasse, uno degli scafisti ci ha detto di avvisare i nostri garanti al fine di svincolare i soldi dovuti, e così ho fatto.
Ribadisco che non ho fatto niente di male, non ho aiutato nessuno degli scafisti ma sono venuto qui in Italia con l’intento di migliorare la mia vita”. Alla domanda su come avesse avvisato il padre al suo arrivo, l’indagato ha risposto: “Ho mandato un messaggio con il telefono di uno degli scafisti perché sono partito dalle coste turche già privo di telefono”.