“Oggi Falcone non potrebbe muovere un passo se non dietro autorizzazione del capo del suo ufficio, continuerebbe a essere sommerso di processetti”. Lo dice all’AGI il magistrato Sebastiano Ardita, componente del Csm, in merito all’autonomia dei magistrati, a trent’anni di distanza dalle stragi del 1992. Lo stesso Giovanni Falcone, oggi, ne avrebbe molto poca. “Stavolta non per una scelta maliziosa e contestabile del capo del suo ufficio – e dunque da lui rifiutabile – ma sulla base di un principio sancito nelle nuove riforme, rispetto al quale se non si adeguasse verrebbe sottoposto ad azione disciplinare.
“Ecco cosa e’ cambiato”, aggiunge Ardita nel suo colloquio con AGI, riferendosi alla proverbiale indipendenza di Falcone, anche nelle relazioni con i vertici delle intelligence straniere. Il ruolo dei magistrati “e’ in via di costante ridimensionamento, in misura direttamente proporzionale rispetto al tempo trascorso dalle stragi. Il che vuol dire che viene ‘smaltita’ la memoria delle condizioni che portarono a quella situazione di strapotere di Cosa nostra, che causarono gli attacchi del 1992. E viene sostituita con una memoria di comodo di un Falcone eroe silenzioso e amico di tutti. Mentre era invece un uomo solo, avversato da molti e tutt’altro che silenzioso, grazie a Dio”.
Una stagione in cui Falcone e’ stato prima delegittimato e poi isolato, collezionando diverse bocciature, fino alla nomina agli Affari penali del ministero della Giustizia. Un metodo rievocato all’indomani della scelta del nuovo procuratore nazionale antimafia, Giovanni Melillo, raggiunta dopo un forte dibattito sul nome di Nicola Gratteri, capo della procura di Catanzaro, che da anni sta conducendo una visione investigativa, sulla ‘ndrangheta e i suoi aspetti piu’ deviati. Secondo Ardita, “si tratta di situazioni e uomini diversi. Rimane l’amarezza per la bocciatura di Gratteri che e’ oggi – tra coloro che svolgono funzioni giudiziarie – il magistrato italiano piu’ conosciuto al mondo per l’impegno antimafia. Il suo essere antisistema – come lo era Falcone quando predicava che nel rapporto tra Mafia e potere era l’origine di ogni male – certamente non gli e’ giovato. Il potere ha paura che si dica che la Mafia esiste perche’ ha un rapporto con esso, e che finirebbe il giorno stesso in cui quel rapporto cessasse. Il potere ha dunque istintivamente – ma spero immotivatamente – paura delle intuizioni di Pio La Torre e di Falcone”.