“La violenza di genere è divenuta un’emergenza sociale la cui risoluzione non è più rinviabile, visto che in Italia avviene un femminicidio ogni 72 ore. Ma non è più rinviabile neanche riconoscere e prevenire, fin dalla più tenera età, gli stereotipi di genere strettamente correlati alla violenza contro le donne. Per generare un cambiamento culturale e un impatto positivo sulla società, in cui le nostre figlie e i nostri figli possano crescere e vivere libere e liberi di essere ciò che vogliono essere, bisogna riconoscere e denunciare gli stereotipi e i modelli sociali che oggettivizzano la donna, che la ritraggono ancora oggi come soggetto debole e inferiore all’uomo e che ne minano la piena realizzazione personale. La parità di genere come riconoscimento dei diritti umani, la sensibilizzazione come prima azione di prevenzione devono diventare obiettivi primari dell’educazione. Già Aristotele nell’Etica Nicomachea aveva focalizzato ‘colui quindi che si adira per ciò che deve e con chi deve, e inoltre come, quando e per quanto tempo si deve, può essere lodato’. Potremmo dire, in altre parole, che la chiave di tutto è nel saper portare l’intelligenza nelle nostre emozioni, e quindi di conseguenza la civiltà nelle nostre strade e la premura per l’altro nelle nostre relazioni: avere autocontrollo e compassione, cioè empatia, due aspetti che nella società di oggi sono sempre più rari.
Oggi viviamo un’alienazione sociale e una disperazione individuale che se non controllati, potrebbero portare a lacerazioni più profonde del tessuto sociale. Una società che è sempre più individualista e che porta a una sempre minore disponibilità alla solidarietà e ad una maggiore competitività. Distratti come siamo oggi da bisogni secondari, non essenziali siamo portati ad assecondare, essere troppo permissivi verso i nostri figli e non prestare la giusta attenzione e, quindi non sviluppare l’empatia soprattutto nei figli maschi che, invece, bloccherebbe sul nascere la violenza. Ho sentito tanti inviti a lezioni di educazione all’affettività e ai sentimenti nelle scuole, vorrei però ricordare che all’affettività, ai sentimenti ed all’ empatia veniamo educati in maniera esperienziale e sin dai primi mille giorni di vita… È la famiglia il primo posto in cui ciò deve avvenire: è la famiglia il posto relazionale in cui imparo a conoscere e riconoscermi nell’altro, a negoziare il mio punto di vista, a differire la gratificazione dei bisogni, a porgere la mano a chi è in difficoltà, a condividere, a collaborare, a rispettare, a sentimi accolto in un bisogno vedendolo soddisfatto e a sentirmi contenuto di fronte all’ insoddisfazione dello stesso per imparare a tollerare il vuoto e la frustrazione. Emozioni e sentimenti si esperiscono nelle relazioni primarie e con gli adulti più significativi per poi essere generalizzate in tutte le altre situazioni sociali. Allora si, ben venga che la scuola si attivi, apra varchi di riflessioni, intercetti situazioni di disagio ma senza pensare che ad essa spetti tutta la responsabilità della formazione e della “cura” delle fragilità dei nostri ragazzi.
Come ho già anticipato, la Regione Calabria, proprio per aiutare la scuola calabrese, gravata dalla crisi che sta attraversando l’istituzione famiglia , proporrà presto la figura dello psicologo scolastico che affianchi il personale docente e gli studenti nell’affrontare questioni complesse legate allo sviluppo emotivo dei giovani. Abbiamo, altresì, previsto ulteriori investimenti mirati che promuovano percorsi formativi, tenuti da specialisti, che coinvolgano le famiglie . Non c’è nessuno che ci insegni il mestiere del genitore, ma ci può essere chi, invece, ci aiuti a riconoscere nei nostri figli i segni del disagio e a trovare modalità comunicative efficaci per aiutarli a crescere equilibrati soprattutto nelle relazioni di genere”.
Così Giusi Princi, vicepresidente della Giunta della Regione Calabria