“Non era un eroe ma un uomo semplice, un uomo dello Stato. Così Tiziana Palazzo, nel corso del processo per l’omicidio, descriveva suo marito Sergio Cosmai.
Era al settimo mese di gravidanza, quando venne eseguito l’ordine partito dal carcere per uccidere quel direttore che aveva deciso di ripristinare la legge e le regole, ma che soprattutto non si era piegato alle arroganti richieste del boss che pretendeva non solo di esercitare il suo potere all’esterno pur stando in cella, ma anche di vedere riconosciuta la sua autorità criminale, pretendendo di ricevere la visita del direttore nella sua cella dopo una protesta dei detenuti”. Lo ha affermato il Sottosegretario all’Interno, Wanda Ferro, nel corso della cerimonia in memoria di Sergio Cosmai tenuta questa mattina in municipio a Cosenza, alla quale ha preso parte, tra gli altri, il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove.
“Arrivato a Cosenza nel 1982 -ha proseguito Ferro – Cosmai riorganizzò il carcere nel segno del rispetto delle regole, mettendo fine ai privilegi di cui godevano i detenuti di spicco della criminalità locale, aumentando la sorveglianza per fermare le attività illecite, tra cui il traffico di droga e il possesso di armi all’interno dell’istituto. Era un funzionario molto attento al rispetto della dignità di ciascun detenuto e ai percorsi rieducativi, ma anche al rispetto delle regole”.
“Fece trasferire detenuti – ha sottolineato – per indebolirne il potere sul territorio, ostacolò le concessioni di semilibertà, bloccò l’appalto per la fornitura di generi alimentari affidato in esclusiva alla moglie di un detenuto. Certo Sergio Cosmai conosceva il rischio di quelle decisioni, ma scelse senza tentennamenti la strada della legalità e del contrasto alla mafia.
Aveva solo 36 anni quando fu decisa la sua condanna a morte, eseguita mentre a bordo della sua 500 andava a prendere la figlioletta a scuola”. “Il commando omicida – ha aggiunto Ferro – sarà arrestato grazie alle tenaci indagini dell’allora Capo della Squadra Mobile di Cosenza.
Ed è motivo di ulteriore emozione pensare che quel funzionario di polizia fosse Nicola Calipari, di cui pochi giorni fa abbiamo celebrato il ricordo a 18 anni dalla sua morte nel corso di un’operazione a Baghdad per la liberazione della giornalista Giuliana Sgrena. Destini che si intrecciano di servitori dello Stato che hanno fatto del dovere una scelta di vita, che hanno onorato fino all’estremo sacrificio”.
“E che ricordo ancora – ha concluso il sottosegretario Ferro – con le parole della moglie Tiziana, che al nipote Alessandro ha voluto parlare di nonno Gino, come veniva chiamato Sergio in famiglia, ricordando la sua straordinaria umanità, la sua vicinanza agli indifesi, la sua tenacia contro i soprusi. E tramandandogli un insegnamento: ‘Vivere non è solo stare al mondo, che non conta per quanto tempo il sole illuminerà le nostre sciagure, ma quanto a lungo siamo stati capaci di essere uomini liberi e uomini veri'”.