Continuano le storie di dolore dei migranti dopo il naufragio del barcone su cui viaggiavano avvenuto domenica 26 febbraio al largo della Calabria, con decine di vittime e dispersi. Sempre più lutti sono raccontati dai migranti sopravvissuti al naufragio del 26 febbraio all’équipe di Medici senza frontiere (Msf). L’Ong sta infatti prestando assistenza alle persone che hanno scampato la morte nella fuga dai loro Paesi riportando “un dolore enorme” nelle tante terribili storie raccontate, specchio del dramma vissuto dai migranti. Msf, ‘per minori diventati orfani solo pianto disperato’ “Lo ha adagiato su un relitto della barca e poi lo ha visto spegnersi piano piano per ipotermia”: è una delle tante storie raccontate dai superstiti del naufragio di domenica scorsa a Steccato di Cutro. I racconti arrivano dal Centro di accoglienza di Isola Capo Rizzuto, dove è al lavoro una équipe di Msf nell’ambito del progetto ‘People on the move’.
“C’è un filo comune nei racconti, che è quello di avere incontrato la morte cercando una vita migliore”, ha detto Sergio Di Dato, coordinatore del progetto per Crotone. Al Cara di Isola Capo Rizzuto opera un team di cinque persone dell’Ong. Oltre al coordinatore, ci sono due psicologi e due mediatori che stanno supportando i superstiti, raccogliendo le loro testimonianze. Come quella di un ragazzo di 22 anni, che ha visto morire di freddo il fratellino di 6 anni.
“Ci sono alcuni minori che sono rimasti orfani e che dal loro arrivo sono seduti sul letto e non parlano. Tanti piangono, la testa tra le mani. Un pianto che si fa sempre più disperato”, ha riferito Di Dato. Stima di non meno di 180 persone sull’imbarcazione Attraverso il colloquio con i sopravvissuti e il confronto con le forze dell’ordine, Msf stima che sull’imbarcazione naufragata ci fossero non meno di 180 persone. Gran parte dei superstiti ora al Cara arriva dall’Afghanistan, ma ci sono anche siriani, palestinesi, iraniani e due somali. I sopravvissuti hanno spiegato agli psicologi anche i motivi della loro fuga. Come un fratello e una sorella, che raccontano di essere scappati dall’Afghanistan perché la donna era in pericolo.
“La rotta balcanica viene di solito utilizzata da nuclei familiari che scappano da contesti in cui è ormai impossibile vivere”, ha affermato ancora Di Dato. “Per queste persone, che fuggono da zone in cui non si può più vivere, l’Italia e l’Europa dovrebbero creare dei canali di flusso che diano loro la possibilità di raggiungere l’Europa in maniera sicura”, ha aggiunto. “Una cosa del genere, con così tanti morti, personalmente non l’avevo mai vista. Ho preso parte a diversi soccorsi con salme in mare, ma quanto è accaduto domenica mattina Cutro era impensabile”, ha concluso.