di Francesca Gabriele – Le donne sempre più agguerrite, sempre più indipendenti, sempre più nel ruolo di “spalla” in momenti in cui ognuno si ritrova a fare i conti con la fragilità insita in ogni personalità. Le donne in quest’ultimo anno sono tornate a rimboccarsi le maniche, e in maniera straordinaria, stanno affrontando uno tra i periodi storici più difficili. Ad una rappresentanza dell’universo femminile abbiamo voluto chiedere di testimoniare il loro anno di pandemia; un anno che ci ha stravolto e, forse, non ci restituirà quello che eravamo.
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Emilia Scalzo è stata un’apprezzata docente. Una donna tutta d’un pezzo, colta, mamma e nonna, ci ha raccontato il suo anno di pandemia e nel suo racconto si ritrovano l’emozioni dei più sensibili.
“Un virus piombato così all’improvviso, senza preavvisi di sorta, è stato in grado, con la sua ferocia, di mettere il mondo intero in ginocchio. All’inizio la nostra reazione è stata di un’incredula paura, una sorta di mancanza di libertà che ci ha disorientati completamente. È stato come fosse scoppiata la guerra, la paura, lo spavento sono stati i veri protagonisti del nostro spirito. I telegiornali erano allarmisti, di sera si parlava di coprifuoco. Tutto chiuso, correvano sms che ci allertavano alla preghiera collettiva. Le processioni di carri militari che trasportavano morti, quanta disperazione si leggeva sui visi dei familiari! Il vuoto, il silenzio, la gente chiusa in casa a rimuginare cosa sarebbe ancora dovuto accadere. Si sovrapponevano Dpcm contraddittori. Il lavoro a casa, con le scuole chiuse, un vero disastro. L’aumento costante della disoccupazione per la continua chiusura delle aziende; la distribuzione dei generi alimentari per i nuovi poveri. Era spenta in ognuno di noi la speranza. Una speranza che si è riaccesa da pochi mesi, dopo la corsa matta, ad inventare prima e a sperimentare poi, i diversi vaccini per somministrarli quotidianamente tra mille critiche e difficoltà. Ora contiamo sulla ripresa”.
Questa pandemia corre anche sulle aspettative dei giovani che il lavoro lo cercano per la prima volta e corre sulle attese di chi il lavoro, invece, l’ha perso. “È trascorso ormai un anno da quando la pandemia ha stravolto la nostra vita, ed ha scaturito in me tanta paura, ma dopo tanti sacrifici, sembra di essere di nuovo al punto di partenza. Adesso, il dubbio più grande che mi assale ogni giorno è: che ne sarà di noi giovani e del nostro futuro? Sono una ragazza di 33 anni – ci racconta ancora Lavinia Scebba – laureata da poco, ed è inutile dire che a causa delle varie chiusure e restrizioni mi ritrovo, da un anno, senza lavoro. Le difficoltà sono tante da affrontare, niente più progetti, niente più aspettative ma solo sogni in sospeso! Spero e mi auguro che questo incubo finisca presto, perché noi giovani abbiamo bisogno di riprendere in mano i nostri sogni e di vederli realizzati”.
Maria Canduci, vibonese, componente dell’Assemblea nazionale del Pd, ha affrontato e vinto quella battaglia che nessuno di noi vorrebbe affrontare. “Credo che la pandemia ci abbia fatto riscoprire noi stesse. Paura? No! Ho affrontato il cancro senza paura (ma capisco chi ne ha), non mi confronto mai con la paura, ma con la speranza.
Quando la contattiamo, Lucia Bruno, ha appena finito di seguire il piccolo di casa con i compiti con un occhio al più grande impegnato al pc a seguire la lezione. “Le donne trascorrono la pandemia nel pieno di un’attività Dad disastrosa cercando di barcamenarsi tra figli annoiati, lavoro, spese, pulizia e cucina. La noia – ci fa notare – la fa da padrona insieme all’ansia di un’incertezza futura che non si sa quando rivedrà un po’di luce, si spera al più presto”.
Maria Grazia Bafaro , direttore commerciale in un’azienda di servizi, rappresenta sempre il modello di donna pensante capace di lasciare un segno intramontabile nella politica del Cosentino. Cordiale sempre con noi giornalisti, per anni si è occupata anche degli ultimi.
“Dopo un anno di pandemia, sono tanti gli indicatori che mostrano come una delle categorie più penalizzate sia quella delle donne. A parte i problemi maggiori sul lavoro, perché occupate nei settori più colpiti, ma proprio perché le stesse, come sempre, mostrano una maggiore attitudine ad offrire sempre le risposte giuste, sostituendosi agli insegnanti, agli psicologi, facendosi carico di parenti e familiari anziani bisognosi di aiuto, pagando in prima persona su sogni accantonati come desideri di maternità o nuovi progetti di vita per ora non attuabili al meglio. Tuttavia, mi faccio portavoce di un sentimento comune a tutte noi donne, rispondendo alla crisi con le nostre migliori armi, i nostri comportamenti rassicuranti e la capacità di “resilienza” al presentarsi delle difficoltà, continuando sempre ad offrire uno sguardo rassicurante, positivo è pieno di speranza, soprattutto verso i nostri i nostri figli”.
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Tocca le corde più profonde dell’emotività il resoconto di Giusy Luciano, mamma, in attesa di laurearsi e componente del dipartimento disabili di Forza Italia. Un’introspezione impeccabile su quello che siamo che supera l’io, il sono, il siamo, la soggettività, la pluralità e ci pone davanti a interrogativi importanti, e tra questi, nel prosieguo e nel dopo quest’esperienza, che cosa siamo disposti a concedere e che cosa saremo disposti a dare. “Fin dalle prime notizie il coronavirus è apparso subito pericoloso e inquietante ma, mai avremmo pensato che in poche settimane avrebbe sconvolto il mondo intero, le nostre vite, mettendo a soqquadro i nostri stili di vita costringendoci a un nuovo apprendistato: ragione, lavoro, relazione, vicinanza, sicurezza, democrazia, povertà, disabilità, scuola, ma anche speranza che ci ha permesso di vedere la notte accendere le stelle. Questo tempo di pandemia ci ha mostrato le nostre fragilità, le nostre vulnerabilità, sta dicendo a noi, abituati a sentirci onnipotenti e signori della storia e del tempo, che tutto improvvisamente e sorprendentemente può fermarsi: le cose semplici, i gesti di affetto, le nostre abitudini ma ci ha anche aiutato a capire che lo sguardo su questo tempo di pandemia deve passare attraverso la lente del mistero pasquale, che culmina nell’annuncio che Cristo è risorto il terzo giorno. Ed è la lente del mistero pasquale che ci invita ad avere uno sguardo che va oltre e questo “oltre” ci dice che c’è ancora la vita che ci attende e ci spinge a scoprire l’essenzialità e la bellezza delle piccole cose, dei gesti gratuiti e dell’attenzione a chi e di chi ci cammina accanto. La pandemia ha messo a nudo il dolore del mondo con conseguenze e sofferenze economiche e sociali devastanti: come la morte di persone care, spesso, senza la prossimità dell’affetto familiare, il senso di impotenza di medici e infermieri, lo smarrimento delle istituzioni, la riduzione o la perdita del lavoro, la limitazione delle relazioni sociali, la violenza tra le mura domestiche, i dubbi e le crisi di fede. La pandemia ha dato una scossa alla superficialità e ha messo a nudo un’altra pandemia, nascosta ma non meno grave che è quella dell’indifferenza. Ha svegliato chi pensava di poter dormire tranquillo sul letto delle ingiustizie, delle violenze, delle malattie, della fame, delle guerre. Ha messo a nudo, a volte esaltandolo grazie alla solidarietà, alla disponibilità di tante persone, a volte ferendolo a causa delle disuguaglianze, il valore della persona, facendoci capire che il bene comune dipenda sì da chi ci governa ma anche da ciascuno di noi. Ci siamo resi conto, come ha detto Papa Francesco, che siamo tutti sulla stessa barca, condividendo paura e morte, ansia e povertà, ma tutti con la stessa speranza che oltre la morte c’è la vita. Ce lo insegna la Pasqua che ci apprestiamo a vivere. Se guardiamo il nostro tempo che stiamo vivendo alla luce della Pasqua, non possiamo non riconoscere i tanti segni di speranza nei medici, negli infermieri, negli operatori sanitari, nelle forze dell’ordine, nei tanti volontari che hanno alleviato le povertà materiali e psicologiche, tutti noi che abbiamo risposto con grande senso di responsabilità. La speranza passa attraverso le mani, i piedi, i sentieri di questi testimoni credibili che ci dicono che ogni Venerdì santo della storia umana porta con sé un abisso di dolore, ma anche gesti nuovi di speranza attenti alle fragilità e alle relazioni personali. La speranza dipende da noi, la speranza che si coltiva e si rafforza nell’incontro con gli altri e aiuta a costruire la nuova normalità che tanto desideriamo”.