di Roberta Mazzuca – “Al parco approdai finalmente come a un’isola dove rimpianto e livore d’ogni giorno paiono sospendersi”.
Non certamente del Parco Robinson di Rende avrebbe mai parlato in tal suggestiva maniera Alberto Arbasino, la cui citazione contenuta nel romanzo “L’anonimo lombardo” si ritrova sull’enciclopedia Treccani alla voce “parco”. Un parco è molte cose, così come si legge: “ampio territorio che, per speciali caratteri naturalistici, è sottoposto a tutela dalle leggi nazionali o regionali per essere salvaguardato dalle azioni dell’uomo capaci di alterarne i caratteri […]”; ancora, “terreno di una certa estensione piantato ad alberi ornamentali con vaste zone a prato o a giardino, spesso ornato con vasche, fontane e piccoli edifici, destinato allo svago e al passeggio”; “giardino recintato e attrezzato con piccole giostre, altalene e altri giochi per bambini”. Un parco è molte cose e, che sia pubblico o privato, dovrebbe rappresentare, in via generale, un luogo ricco di verde, sicuro, capace di educare al gioco, allo sport ma, soprattutto, al rispetto dell’ambiente e degli animali che lo popolano.
Per i cittadini di Rende e Cosenza, (che in quanto a degrado e abbandono potrebbero già costituire quella “città unica” tanto discussa e nuovamente finita nel dimenticatoio), il Parco Robinson, pubblico e, dunque, di competenza del Comune di cui fa parte, a cui spettano cura e gestione, non è nulla di tutto ciò. O meglio, in apparenza potrebbe anche sembrarlo, con la nuova zona inaugurata circa un anno fa e denominata “Parco dei Nonni”, con la pista di pattinaggio che diverte bambini e ragazzi, un anfiteatro e le sue piccole ochette che, non certo per merito dell’amministrazione, sopravvivono all’incuria e alla trascuratezza. Eppure, guardandosi semplicemente intorno, esplorando l’intero ampio territorio che il parco occupa, e lasciandosi guidare da ciò che i propri occhi sono in grado di scrutare oltre la superficie e la propaganda, emerge l’immagine nitida, tristemente limpida, di come un parco pubblico, frequentato da bambini, adulti, ragazzi e anziani, non dovrebbe mai essere. Di tutto questo abbiamo voluto parlare con Francesca Rosa Greco e il suo fidanzato Igor, due ragazzi che frequentano il parco abitualmente e che, non molto tempo fa, si sono ritrovati di fronte una terribile scena: un’oca con il collo spezzato, ricoperta di formiche, che hanno tentato invano di salvare.
Abbiamo, poi, accuratamente documentato il reale stato in cui versa il parco, addentrandoci anche nella parte est, teoricamente chiusa e, invece, pericolosamente accessibile, totalmente abbandonata e delimitata da transenne distrutte e pericolanti. Ciò che ci siamo ritrovati, nostro malgrado, ad osservare, nel parco al confine tra Rende e Cosenza, è l’esplicitazione in miniatura dello stato in cui versano entrambe le città. Città ricche di potenzialità, cultura, storia, e con una delle Università migliori d’Italia, a cui fanno da contrappeso degrado, abbandono, rifiuti, mancanza di servizi e scarso interesse e cura per il territorio.
“Trovammo un’ochetta al sole, piena di formiche e con il collo spezzato”: gli animali trascurati e maltrattati nel racconto di Francesca e Igor
“Un mesetto e mezzo fa circa, mentre camminavo con il mio ragazzo Igor nelle viette del Parco Robinson” – racconta ai nostri microfoni Francesca Rosa Greco, studentessa di Economia Aziendale all’Università della Calabria – “ho visto davanti a me un’ochetta su un pezzo di cemento che circonda l’acqua sempre sporca, al sole e piena di formiche. Allora abbiamo cercato qualcosa per poterla spostare facilmente, ma non abbiamo trovato nulla. Siamo andati a chiedere una scopa al signore delle giostre, che però è servita a ben poco”.
“Così ho dato un bel po’ di fazzoletti al mio ragazzo” – prosegue Francesca – ed è stato lui a spostarla in acqua. Ma, appena fatto, abbiamo notato che con il collo affondava”. Resisi conto di questa crudeltà, i due ragazzi ci raccontano di aver messo l’ochetta “con il corpo in acqua, affinché le formiche la potessero lasciare in pace, e con il collo fuori sul cemento, in modo che potesse respirare e non affogare”.
“Nel frattempo si avvicina una signora – prosegue la triste storia – che racconta di aver saputo da ‘fonti certe’ che dei ragazzi con delle pistolette si erano divertiti nella notte a sparare alle oche, lasciandone qualcuna ferita. Abbiamo chiamato una clinica veterinaria, sentendoci rispondere che non era loro compito intervenire, le diverse associazioni erano chiuse, così abbiamo deciso di fare una passeggiata per trovare una soluzione, ma nel frattempo l’oca si era spostata ed era affogata”.
Un triste epilogo che i ragazzi hanno tentato con ogni forza di evitare, trovando attorno a loro un muro di gomma fatto di indifferenza e silenzio, responsabilità rimbalzate da un soggetto all’altro, soluzioni inesistenti a problemi che, con maggiori controlli e una cura adeguata, non si sarebbero neanche mai verificati. “Questo è il nostro parco, quindi veniamo spesso qui” – ci dice ancora Francesca. “Ho letto alcuni commenti sui social di persone che affermano che il parco di sera chiude, per cui è impossibile che possano entrare vandali. Ci tenevo a dire che non è assolutamente così. Sono la prima che viene qui anche alle due di notte per rilassarsi, facendo passeggiate, stando con le ochette, anche guardando se effettivamente ci sono persone poco raccomandabili, e delle volte purtroppo le abbiamo trovate. Questo accade perché non ci sono controlli, non ci sono telecamere, hanno messo un cartello con scritto ‘area videosorvegliata’, ma non è assolutamente vero”. E non si sbagliano questi due ragazzi che, d’altronde, conoscono il parco sicuramente meglio di chi lo amministra, presente a qualche inaugurazione e qualche felice evento, ma assente e incurante di quello che, nel quotidiano e sotto gli occhi dei cittadini che di questo bene pubblico dovrebbero poter usufruire, accade. Di cartelli di videosorveglianza ne abbiamo trovati diversi, nel nostro girovagare per il parco. Ma, ahimè, di videosorveglianza reale, neanche l’ombra. Una telecamera puntata verso l’infinito l’abbiamo scovata, nei pressi del putrido laghetto delle oche. Una telecamera che, se funzionante e meglio posizionata, avrebbe permesso di scoprire la triste dinamica che ha portato alla morte dell’oca in questione. “C’è solo una telecamera nell’area giochi” – ci dice Igor. “Tutto il resto del parco è assolutamente privo di sorveglianza”.
Lo afferma chi in quel parco passa anche le domeniche d’agosto a chiacchierare insieme a noi, denunciando una situazione a dir poco disastrosa: “Ci siamo ritrovati il Parco Robinson che, comunque, era curato, pieno di verde, con animali di ogni tipo, ridotto con queste povere dieci ochette, e due piccole tartarughe, che nessuno cura, nessuno sorveglia, non si sa come stanno realmente e non vengono nutrite, se non dai cittadini che passano di qui e lasciano qualche mollica di pane”. E lo stato di abbandono appare evidente, ad occhio nudo, nell’acqua putrida in cui le ochette sguazzano (e a poco vale il maldestro tentativo dell’amministrazione di ripulirla tempestivamente in seguito alle numerose segnalazioni), nella recinzione distrutta in diversi punti, poco sicura, facilmente accessibile da chiunque voglia fare del male o del bene ai poveri animali superstiti. È evidente nello stato della piccola porzione di terreno che le ochette hanno a disposizione, piena di resti delle casette degli altri poveri amici piccioni che, inesorabilmente, crollano nell’abbandono generale. È evidente nella mancanza di cura del verde circostante, nella mancanza di pulizia, nella mancanza di decoro. Perfino il tavolino intorno al quale questa intervista è stata realizzata non ha nulla di decoroso: sporco, ricoperto di scritte, vandalizzato da chiunque ne abbia voglia, certo di non essere punito né mai neanche lontanamente individuato.
Il parco Robinson di Rende: il “polmone verde” ormai stanco di respirare
“Il polmone verde della città” lo definisce spesso l’amministrazione che, si narra, intenda unire il Parco Robinson al vicino “Nicholas Green” per creare “il parco inclusivo più grande d’Europa”. Grande, senza alcun dubbio, inclusivo, non esattamente, sicuro ancor meno. Ne è un esempio l’innovativa altalena per bambini con disabilità, con tanto di cartello che ne spiega passo passo l’utilizzo. Peccato che, ad avvicinarsi giusto il tempo di capirne il funzionamento, si può ben notare come quello che dovrebbe essere un simbolo di inclusività e accessibilità, sia invece segno anch’esso di degrado, mancanza di controlli, abbandono totale. L’inclusività che rimane una mera idea e che, anzi, lascerebbe solo tanta delusione in un bambino disabile che volesse andare in altalena. La pedana d’ingresso, che dovrebbe essere chiusa, è invece aperta e sporca. Non si trovano le cinture di sicurezza di cui il cartello parla, né gli appositi ganci, ma soltanto una cordicella rotta sul lato destro della struttura.
“Servirebbero più controlli, più pulizia. Non è giusto, ad esempio che adesso stiano cercando di pulire l’acqua soltanto dopo che abbiamo inviato diverse segnalazioni. Non soltanto noi, ma anche ragazzi di Catanzaro, di Crotone, di tutta la Calabria, che hanno cercato di muoversi perché tenevano agli animali rimasti” – ci dicono ancora Francesca e Igor. Animali che un tempo facevano del Parco Robinson un luogo ricco di biodiversità, con papere, oche, trote, pesci rossi, daini, struzzi, caprette, pony, cavalli. Perfino pavoni, fagiani e pappagalli. “A questo punto, è meglio che gli altri animali siano stati tolti” – ci dice Francesca – “perché se anche loro dovevano avere questa vita, senza attenzioni, pieni di sporcizia, senza qualcuno che li salvaguardi, con persone che entrano nel parco e fanno ciò che vogliono agli animali e alla natura, questo scandalo sarebbe stato ancora peggiore”.
Una visione sicuramente piena di amarezza e rassegnazione, a cui Igor aggiunge il suo interessante punto di vista: “Qui a Cosenza ormai non c’è turismo ma, se ci fosse, e qualche turista dovesse imbattersi nella raccapricciante scena di una paperella che è affogata a testa in giù, non sarebbe proprio un bello spettacolo”. Togliere gli animali dal parco, secondo i due ragazzi, è stato dunque un bene, se questo sarebbe stato il trattamento a loro riservato. Ma, il contatto con gli animali, con la natura, con la differenziazione che l’ambiente ci propone, è forse uno dei modi più belli di far conoscere ai bambini la diversità, la ricchezza, la bellezza che popola il pianeta, insegnando loro l’amore e il rispetto per tutti gli esseri viventi. Un parco che, un tempo, era quasi da invidiare, oggi ha tolto tutto questo ai bambini della città, “che verrebbero qui a vedere animali star male” – afferma Igor. “Così come nei circhi”, – ribatte Francesca – “dove gli animali vengono tolti dal proprio habitat e maltrattati solamente per dare spettacolo. Pensiamo troppo all’essere umano, agiamo delle volte in maniera incosciente”.
Un parco da brividi: viaggio nell’ala est
La situazione peggiora quando, dopo aver superato le pericolanti transenne e il degradato “tunnel” che conduce alla zona più antica del parco, si approda nell’ala est, dove ogni bel ricordo d’infanzia viene devastato da un terrificante spettacolo. Erba alta e incolta, rifiuti in ogni anfratto, cestini completamente rotti e riversati nella natura con tutto il loro contenuto, così come quei pochi giochi ancora presenti, anch’essi danneggiati, vecchi e ormai inutilizzabili. Quello che una volta era un grande lago, appare oggi come un’infinità putrefatta di acqua e rifiuti di ogni tipo. Un luogo desolato, abbandonato, diventato probabilmente casa per qualche senzatetto, come suggerisce una tenda da campeggio trovata fra l’erba. Inoltrarsi in tutto questo mette quasi un po’ di paura, e pensare che un bambino, allontanandosi per un attimo, possa facilmente accedervi, rischiando anche di farsi male, mette i brividi. Dappertutto recinzioni rotte, odore insopportabile, cancelli chiusi con cordicelle di fortuna, fontane inutilizzabili, pericoli costanti, vandalismo, rami di alberi tagliati e poi abbandonati, erba talmente alta da non rendere riconoscibile neanche quello che una volta era un sentiero.
Difficile spiegare ciò che quell’immensa devastazione di verde, alberi, fiori, e natura, generi nell’animo di chi abbia radicato in sè il rispetto per l’ambiente e per gli altri. Difficile insegnare alle nuove generazioni a trattare il pianeta come la propria casa, se lo spettacolo che si ritrovano di fronte è quello documentato nelle foto qui mostrate. Difficile pensare a due parchi che, insieme, diventino quelli più inclusivi d’Europa se, già singolarmente, quello che dovrebbe essere il principale parco della città, fatica perfino a respirare. Difficile che l’inaugurazione di nuove aree risolva il problema, se la cura di quelle vecchie fa rabbrividire.
“Al parco approdai paurosamente come a un’isola deserta dove rimpianto e livore d’ogni giorno paiono inasprirsi”. Si potrebbe pensare che così Alberto Arbasino, passeggiando tra l’erba alta, l’incuria, il degrado, i rifiuti, e osservando le sopravvissute oche del Parco Robinson, uniche superstiti di una strage di biodiversità, avrebbe apostrofato un tale scempio.