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Il vescovo Parisi alla chiusura del Giubileo: “Ritornare all’essenziale, vivere la fede nella storia”

“Ciò che il Giubileo pretendeva – ed è anche importante per noi oggi – era innanzitutto non tanto l’aspetto celebrativo esteriore quanto una trasformazione dell’uomo, cioè la necessità di incidere concretamente dentro la storia con i fatti e con la vita. Così il Vescovo, monsignor Serafino Parisi, nell’omelia pronunciata durante la santa Messa, da lui presieduta, in occasione della chiusura dell’anno giubilare.

Per monsignor Parisi, infatti, l’indizione del Giubileo “serve per stabilire alcuni principi eterni e, nello stesso tempo,ci richiama a questi principi e li pone ancora oggi alla nostra attenzione proprio per non farci cadere nella trappola della euforia dei numeri che tanto ci condiziona sia in modo positivo, quando appunto ci sono le folle che acclamano, e sia anche in modo negativo, quando magari in una chiesa, raccolti, vediamo soltanto quattro fedeli che, però, devono essere calcolati come persone umane e non come numeri. La logica di Dio – ha aggiunto il Vescovo – non è quella della fine intesa come conclusione, ma la logica di Dio è quella del pleroma, della pienezza, del compimento che procede per addizione, aggiunge lode a lode, ringraziamento a ringraziamento, bellezza a bellezza. Contestualmente “la logica del Giubileo è legata, innanzitutto, alla terra che vuole essere feconda, che non deve essere nemmeno coltivata, tanto spontaneamente può produrre dice il libro del Levitico tutto quello che deve produrre e tutti dovranno mangiare allo stesso modo. Allora, nella mia visione che vi sottopongo questa sera – ha aggiunto monsignor Parisi – il tempo del Giubileo è tempo di seminala semina di Diodi una terra che deve essere capace di accogliere i semi che sono stati buttati, gettati, in modo copioso quest’anno”.

Nel fare riferimento a tre di questi semi, punti centrali su cui riflettere e da cui ripartire, oggi, che “è il tempo della incarnazione di Dio nel figlio Gesù Cristo dentro la storia dell’umanità e che dice che Dio ha voluto scegliere la nostra umanità, ha voluto condividere la nostra natura e ha voluto buttare dentro questa natura umana il seme dell’eternità, il Vescovo ha posto in evidenza l’importanza di “riposizionarci tutti, a partire da me, sull’essenziale che è Gesù Cristo. Dobbiamo collocarci su ciò che è essenziale ed abbiamo perduto – ha aggiunto –. Anche il Natale che abbiamo celebrato, lo abbiamo celebrato dimenticando il festeggiato. Il riferimento a Gesù, ormai, è un pio ricordo quando invece è il senso della nostra vita, del nostro servizio, zoppicante per quanto possa essere, ma è il senso del nostro servizio e, dunque, anche delle parole della predicazione.

Tornare all’essenziale, quindi, per poter “riconoscere Gesù Cristo nel fratello che odio o in quello che mi odia ha affermato monsignor Parisi -. Sono davvero significative le parole che abbiamo ascoltato oggi in riferimento alla Sacra Famiglia di Nazareth. Abbiamo sentito da San Paolo Apostolo ai Colossesi quell’indicazione che è per la famiglia, ma è per tutte le relazioni che, a partire dalla scelta di Gesù Cristo, tutto avvenga nel nome di Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre: questo è il cuore della seconda lettura di questa sera. E, in riferimento a questo, dice: voi rivestitevi di magnanimità, di tenerezza, di umiltà, di mansuetudine. E dice, poi, il verbo più sconvolgente della tradizione cristiana” che “è sopportandovi a vicenda, cioè quando l’altro lo sento come un peso devo fargli spazio e, per farlo, devo morire a me stesso affinché l’altro possa vivere”. Infatti, “la logica non è quella di Caino e Abele, ma la logica è quella della croce di Cristo che muore, dà la vita per la vita dell’altro: questo è il principio del Vangelo. E ce lo ha detto oggi Paolo perdonandovi a vicenda gli uni gli altri, come il Signore ha perdonato voi anche voi dovete fare altrettanto. Poi dice ancora rivestitevi della carità. È forte questa parola: rivestitevi vuol dire prendete l’habitus della carità che vuol dire la capacità non di mostrarsi, ma di essere rivestiti della carità. Questo è il principio per il quale la pace di Cristo può vivere nei nostri cuori perché siamo chiamati a formare un solo corpo”.

La seconda linea del Giubileo – ha aggiunto il Vescovoè quello della liberazione: durante il Giubileo gli schiavi dovevano essere liberati; le terre – perché la terra è di Dio – dovevano essere lasciate libere, restituite. Cioè la liberazione che, poi è il processo di Dio per trasformarci da schiavi in figli, è un processo storico concreto, non accade nell’iperuranio, nei cieli o sotto i cieli, o tra le dominazioni ed i Serafini ed i Cherubini, accade sulla terra, dentro la terra, dentro l’umanità. Noi che cosa facciamo per non essere schiavi? Come ci poniamo dentro la storia? Siamo disposti a patire perché la storia possa essere liberata da tutte le forme di schiavitù, anche da tutti quei vincoli da quei lacci, da quegli orpelli di tipo religioso – ha chiesto monsignor Parisi -? Chi è schiavo deve sentirsi condonato, affrancato e abbracciato come fratello, altrimenti non c’è niente. Il cristianesimo, allora, è quella forza incisiva di liberazione che nell’anno giubilare trova il suo fondamento perché il Signore è venuto per dare la libertà – o meglio per ridare la libertà – a tutti gli uomini. Questa è la forza per cui potremmo dire: chi se la sente di essere oggi un operatore di liberazione dentro la storia? Proviamo a dirlo nel nostro intimo, l’eccomi che vuol dire ci sono, Signore, conta su di me, sono pronto ad andare”.

A questo punto, facendo riferimento a Paolo che dice “la parola di Cristo abiti tra voi abbondantemente con ogni sua ricchezza”, il Vescovo ha aggiunto che proprio “questa parola seminata sempre con abbondanza ci dice qual è il terzo elemento che deve restare dentro la nostra vita, che deve mettere in movimento la nostra esistenza, il nostro servizio, il nostro sì, la nostra storia per mettere in movimento la storia dell’umanità perché noi ci crediamo in questo: la fede non deve essere vissuta nelle sacrestie o nelle celebrazioni belle, affascinanti e entusiasmanti. La fede deve essere vissuta nel campo della storia, sul terreno dell’umanità. Noi abbiamo perso la gioia. Non sappiamo più gioire e la caratteristica della gioia è il terreno fertile dentro il quale trova spazio il terzo ambito che è quello della fraternità. Se io riesco a gioire soltanto quando l’altro fratello sta male, si trova in difficoltà, che me ne faccio della mia vita? La nostra storia – ha concluso monsignor Parisi – si misurerà dalla capacità che avremmo avuto di soccorrere l’altro in difficoltà. Avete sentito che cosa ha detto il libro del Siracide in riferimento al padre? Ha detto: mi raccomando soccorri tuo padre nella vecchiaia, non contristarlo, sii indulgente anche se perde il senno, non disprezzarlo mentre tu sei nel pieno del vigore. Che, sostanzialmente, vuol dire soccorri chi è fragile, prenditi cura di chi si trova in difficoltà, perché la fraternità con la legge della sopportazione e con la legge della carità si costruisce esattamente così: prendendoci cura gli uni gli altri, quando tocca a me raccogliere le tue lacrime perché io possa curare la mia aridità e quando tocca a te raccogliere le mie lacrime che potranno servire per la tua, per la nostra aridità. Questa è la bellezza della fraternità che noi dobbiamo costruire perché il Giubileo finirà, non finirà, sarà celebrato, non sarà celebrato, ognuno, però, si ricorderà del fratello che lo ha soccorso nel momento più critico: questo è il frutto più grande della benedizione del Signore sulla nostra vita che io invoco ora su ognuno di voi, su ognuno di noi”.

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