“Continua la strage delle morti sul lavoro. Nei giorni scorsi, a Lamezia Terme, un imprenditore edile di 74 anni ha perso la vita, cadendo da un ponteggio alto sei metri. E’ l’ennesimo incidente mortale, in un continuo stillicidio, che richiama l’attenzione sulla mancanza di tutele (economiche e strutturali) e sulla superficialità della politica nazionale, regionale e locale sul tema della sicurezza sui luoghi di lavoro” – scrive in una nota Antonio Mazzei, responsabile regionale Politiche per il Lavoro e l’Occupazione giovanile di Noi con l’Italia che ha voluto rappresentare anche le condoglianze personali e di tutto il partito, guidato a livello nazionale da Maurizio Lupi, alla famiglia del povero imprenditore.
“A nessuna età si deve morire per lavoro. La vicenda dell’uomo di 74 anni, ancora attivo su un cantiere, in un’età in cui dovrebbe godere la meritata pensione e la serenità della famiglia, è esemplificativo della trascuratezza intorno alle misure di sicurezza preventiva e alla salvaguardia dell’incolumità delle persone.” – continua la nota del dottor Mazzei.
Il lavoro è una risorsa, e non può essere visto come un costo e cancellazione di diritti.
La salvaguardia deve partire da investimenti, per lavoratori e lavoratrici, finalizzati a garantire la sicurezza.
Noi con l’Italia chiede il rispetto delle norme che disciplinano la sicurezza sul lavoro. Troppo spesso il d.l. 81/2008 (Testo Unico sulla Salute e sulla Sicurezza dei lavoratori), e i principi costituzionali che lo ispirano, vengono disattesi.
Le verifiche non possono essere posteriori a un episodio funesto. Le ispezioni e la sorveglianza devono essere garantiti fin dal momento in cui vengono avviati un cantiere o un’attività, e con periodicità dai soggetti preposti (Aziende sanitarie locali, con i Servizi di Igiene e Medicina del Lavoro, e il comando dei Vigili del Fuoco).
Noi con l’Italia, attraverso il dipartimento Lavoro e Occupazione giovanile, sostiene
che le condizioni di sicurezza debbano partire dal taglio del cuneo fiscale sul lavoro. Dai dati Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) risulta che, in Italia, il prelievo, tra imposte sul reddito e contributi, è tra i più pesanti dei Paesi industrializzati.
Un taglio al cuneo fiscale, in relazione ai costi per il datore di lavoro – riporta il comunicato di Antonio Mazzei – consentirebbe alle imprese di investire sulla sicurezza; meno tasse e detrazioni in busta paga permetterebbero, al prestatore di lavoro, di rispondere meglio ai bisogni personali e familiari (salute, istruzione, tempo libero, ecc…).
Il vero nodo resta quello della ricerca delle risorse necessarie. Spetta al Governo nazionale provvedere in merito.
Il comunicato dell’esecutivo regionale di Noi con l’Italia si ricollega all’intervento di Maurizio Lupi, leader nazionale del partito, sulla questione del salario minimo alla ribalta dell’agenda politica.
La posizione di Lupi è nettamente contraria all’idea di salario minimo, anacronistico nei Paesi occidentali: « Non abbiamo bisogno del salario minimo perché non siamo la Bulgaria. Noi abbiamo bisogno di lavorare per il massimo salario perché le nostre retribuzioni sono ferme da tanti anni, perché la Francia ha aumentato le retribuzioni dei propri lavoratori dipendenti del 38%, perché un insegnante in Italia prende all’anno 27.500 euro lordi contro i 55mila della Germania».
L’attuazione del massimo salario, secondo Maurizio Lupi è realizzabile «non solo mediante l’aumento dei compensi per i lavoratori statali, ma anche tramite la diminuzione del costo del lavoro».
Lupi sottolinea la deriva socio-economica del Reddito di Cittadinanza, e propone un diverso utilizzo di quei fondi: «Il lavoro lo danno le imprese, il lavoro non si dà per legge. La dignità, nonostante l’avvocato del popolo Conte la pensi diversamente, non è nell’Rdc o nell’assistenzialismo a vita. Questo al Nord come al Sud. Vogliamo tutti la dignità del lavoro. Tutto quello che viene diminuito sul costo del lavoro, invece, ritorna a essere salario reale, con costi identici per le imprese su questo versante. Se trasferissimo “tout court” i 19 miliardi di euro del Reddito di cittadinanza, alle imprese, dicendo loro di assumere chi lo percepisce, previo una formazione di queste persone, sono sicuro che avremmo molta più dignità del lavoro e anche molta più formazione. Le imprese darebbero molto più in termini di salario».