di Paolo Ficara – “Così sapremo di che morte vivremo”. Un anno fa di questi tempi, quando ci illudevamo di aver toccato il fondo, Manuele Ilari – proprietario in pectore di una Reggina morente – sfoderava questo straordinario quanto involontario ossimoro. Il riferimento era all’atteso verdetto del Consiglio di Stato. Racchiudendo in pochissime parole la situazione kafkiana che saremmo andati a vivere, da lì in poi. Manuele Ilari, proprio lui: personaggio che oggi ci apparirebbe come Florentino Perez, a confronto degli attuali occupanti.
Ed aveva ragione: siamo vivi, ma stiamo assistendo ad una morte continua, una sorta di regginicidio quotidiano. Il karma sta impartendo una lezione severissima alla città ed alla tifoseria di Reggio Calabria. Vi assicuriamo che per tutta la prima metà del 2023, nonostante i nostri sferzanti articoli verso Saladini, Cardona e tutti quelli che a nostro avviso stavano mandando la Reggina a farsi molto male, abbiamo sperato fino all’ultimo di sbagliarci. Di avere torto. Giammai ci saremmo vantati di aver azzeccato la linea editoriale. La Reggina è scomparsa dal professionismo. Ed abbiamo perso tutti, a prescindere dalle tesi sostenute.
Invertendo l’ordine degli addendi, quest’anno non è cambiato il risultato. Dopo aver sicuramente descritto una situazione che non prevedeva la trasformazione della Fenice in Reggina, nella seconda metà di maggio abbiamo parlato di dieci giorni decisivi per il futuro. La mancata presentazione di soggetti terzi – escluso Stefano Bandecchi – non tanto per la manifestazione d’interesse del centro sportivo, quanto per il marchio, non siamo riusciti a spiegarcela nell’immediato.
Il motivo diventa evidente dopo la conferenza tenuta ieri, martedì 9 luglio, a Palazzo San Giorgio. Una conferenza della cui organizzazione abbiamo saputo dalle altre testate, leggendole. E dunque, non vi abbiamo partecipato. Perché ci hanno insegnato che dove non sei invitato, non sei desiderato. E questi signori, che al Dispaccio non inviano comunicati di fatto da novembre 2023, dimostrano di voler portare avanti la “loro” Reggina. Con i “loro” giornalisti. Forse anche con i “loro” tifosi, nella – sempre “loro” – speranza che siano in numero superiore ai minuti di ritardo con cui si sono presentati ai microfoni.
Giuseppe “tira a pechra e mmuccia a manu” Falcomatà ci ha ricordato una delle epiche scene del film epico per eccellenza, Lo Chiamavano Trinità. Quella di “Emiliano non tradisce, gringo”. Che diventa repentinamente “Emiliano dice tutto, gringo”, in seguito ad una efficace pressione. Solo che il primo cittadino ha interpretato la scena al contrario. Prima ha detto tutto, senza che gli venisse puntata una pistola alla testa: che non bisogna vivacchiare, che ha parlato con il presidente Foti, che non bisogna chiudere la porta ad eventuali investitori importanti. E che lui, con questi investitori, si è incontrato ma preferiva mantenere il riserbo.
Poi ha detto il contrario di tutto. Scegliendo di non tradire la creatura partorita proprio in quel Palazzo, dagli ex facenti funzione che ha anche ringraziato durante la conferenza. Brunetti in primis, quello che parlava di “d” come dignità. Tradendo però la propria città e tutta quella gente che aveva riacceso la speranza, dopo le sue esternazioni di marzo, aprile e maggio. Fra i traditi ci siamo anche – o soprattutto – noi del Dispaccio, che almeno sull’argomento calcio abbiamo riposto in lui una fiducia immeritata.
Che il sindaco Falcomatà abbia parlato con i potenziali investitori, lo sa lui e lo sappiamo noi. Che il sindaco Falcomatà abbia convocato Lillo Foti in tempi non sospetti, preoccupato dall’inconsistenza degli attuali occupanti calcistici, lo sa lui come lo sa Foti e come lo sappiamo noi. Se i potenziali investitori gli hanno specificato di non voler avere a che fare con determinati questuanti, nell’ottica di evitare di presentarsi ai nastri di partenza della stagione 2024/25 con due squadre, noi lo possiamo solo supporre. Se lui lo sa (o sapeva), avrebbe solo dovuto chiedere la restituzione delle chiavi consegnate lo scorso settembre dal suo f.f. Brunetti. Con le buone o con le cattive maniere. E non lo ha fatto.
Il passaggio più grave della conferenza di martedì, infatti, è quello immediatamente successivo alla versione “Emiliano non tradisce” di Falcomatà. Un signore che si chiama Ballarino e che aveva messo per iscritto di essere stato un pezzo grosso dell’Empoli ai tempi belli, si è permesso il lusso di dire che lui, anche in presenza di eventuali investitori, non vende. E lo ha detto seduto accanto al sindaco di Reggio Calabria. Perché evidentemente si sente spalleggiato.
Voi credete possa esistere – in Calabria, in Italia, in Europa o nel mondo – un imprenditore di media serietà, voglioso di sedersi al tavolo delle trattative con un soggetto del genere? Voi stessi, voi che state leggendo: immaginate di azzeccare sei numeri al superEnalotto. Pur nel vostro amore sconfinato verso la Reggina, quanti minuti reggereste la prosopopea di mister Tucson?
La storia dice che in 110 anni, l’unico ad aver speso soldi per acquistare la Reggina anziché aspettare che fallisse si chiama Luca Gallo. E qui apriamo l’argomento che basta da solo come apice del disgusto. Anche se non fosse stato toccato il tema degli investitori. O del centravanti con incognite fisiche. O le mancate risposte sul budget e sul prosieguo del connubio con la ditta Soseteg. Ossia l’unica variazione in organigramma, annunciata in pompa magna nonostante lo sapessero anche le mosche da un mese e mezzo: la promozione a direttore generale di Giuseppe Praticò.
Giuseppe Praticò. Lo stesso che a dicembre 2018, da proprietario, si è trovato contemporaneamente ad affrontare lo sciopero dei calciatori e l’istanza di fallimento dell’avvocato Grassani. Con sentenza già pronta da parte del Tribunale Civile, e che sarebbe stata emanata ad inizio gennaio del 2019. La Reggina, in quel frangente, è stata letteralmente salvata da Luca Gallo. Che ha pagato sia gli stipendi, sia le quote societarie a galantuomini che gli hanno fatto trovare un bel po’ di debitucci. Citiamo Alberto Angela: “E’ importante parlare del passato perché, se ce lo scordiamo, lui ribussa alla nostra porta. E non sempre lo fa in maniera simpatica”.
Questo intendiamo, scrivendo che il karma si sta accanendo verso la Reggina e i suoi tifosi. Non si possono minimamente tollerare certe presenze in ruoli apicali. Chi ha assegnato il titolo sportivo l’anno scorso parlando di dignità, deve prendere atto che la dignità è sotto le scarpe dall’inizio. Ci eravamo permessi di consigliare un anno sabbatico, vi siete presi la responsabilità: ora dimettetevi, prima di essere travolti da scandali ancora più grandi.
Ormai è fin troppo evidente che la Reggina non cambierà padrone, se prima non cambierà il sindaco. E mai come quest’anno è stata netta la differenza tra chi ama la maglia amaranto, ossia la stragrande maggioranza, e chi è invece affezionato solo ai detentori pro-tempore della società a prescindere da chi siano. Complimenti a voi, che avete soddisfatto la vostra sete di interviste, inviti a cena, e ingressi di favore. Stavolta l’applausometro ha registrato qualche decibel in meno, rispetto al 12 giugno 2023. Almeno intuiamo il motivo che avrà indotto Felice Saladini a chiamare “Meglioquesto” la propria azienda: avrà viaggiato nel futuro, vedendo paragonato sé stesso a Ballarino.
Ci sarebbe da vincere un campionato di Serie D, per non rimanere a vita nelle secche del dilettantismo. Anche in caso di tale exploit, il problema societario si acuirebbe dato che non ci sarebbero le risorse per affrontare una C a livelli importanti. Noi prossimamente pensiamo di riprendere con le dirette di Reggina Talk sulla pagina facebook del Dispaccio, per offrire alla gente una finestra di informazione che non risulti filogovernativa. Almeno ravviveremo le pagine social del patron, offrendogli spunti con cadenza regolare in modo che si metta il like ai propri post. Siamo caduti veramente in basso, ma può darsi che ce lo meritiamo.