di Paolo Ficara – L’eredità si può ottenere solo se c’è il defunto. E dopo il pronunciamento della Corte d’Appello in merito al ricorso del Brescia, rinviato al 27 novembre per contumacia del ricorrente, è evidente che almeno fino alle ultime settimane di autunno la Reggina 1914 rimarrà aziendalmente in vita. Infatti fino alla medesima data, non potrà essere espressa la sentenza sul ricorso più concreto: quello dell’Agenzia delle Entrate, avverso il 95% di sconto concesso da omologa in primo grado.
L’argomento marchio dunque, con annessa storia ed identità della Reggina, passa inequivocabilmente da questa attesa sentenza della Corte d’Appello. Proviamo ad inquadrare i possibili macro-scenari, senza sbilanciarci sulle percentuali di probabilità.
Prima ipotesi: la Corte d’Appello accoglie il o i ricorsi, obbligando di fatto il Tribunale ad emettere sentenza di fallimento nei confronti della Reggina. Seconda ipotesi: i ricorsi vengono respinti, ma il commissario giudiziale segnala aspetti poco chiari circa la vita aziendale della Reggina o l’esecuzione di quanto previsto nel piano ristrutturazione, anche in questo caso determinando il fallimento. In entrambi i casi, il marchio come bene immateriale verrebbe messo ad asta dalla curatela incaricata. Con cifre, regole e paletti determinate dalla curatela stessa, ovviamente in accordo con il Tribunale.
Terza ipotesi: ricorsi bocciati ed omologa che regge in piedi da sé, senza irregolarità. Infatti se è vero che la Reggina vede venir meno, con la mancata iscrizione in B, gli introiti dei diritti televisivi, è anche vero che sono venuti meno anche i tanti contratti da onorare con i calciatori. Quindi la vita aziendale potrebbe anche proseguire, con il pagamento dei debiti garantito da 5 milioni di euro in buoni del Tesoro.
Per quanto riguarda l’eventuale prosecuzione della vita sportiva, si aprirebbero diverse ipotesi. Ed il lasso di tempo da qui a giugno 2024, è eccessivamente vasto per inquadrare bene il tema. Ci limitiamo ad evidenziare ciò che non può accadere, almeno non all’interno di un sistema federale regolato da norme organizzative interne (Noif).
Innanzitutto l’art.52 comma 2 delle noif recita testualmente: “In nessun caso il titolo sportivo può essere oggetto di valutazione economica o di cessione”. Per quanto riguarda fusioni societarie, le stesse sono consentite solo tra società affiliate da almeno due stagioni sportive (art.20 comma 7 lettera d). Quindi la Reggina non potrebbe in alcun modo né rilevare il titolo sportivo della Fenice Amaranto, né fondersi con essa. Discorso diverso per quanto concerne eventuali apparentamenti con Locri, Bocale o qualsiasi altra compagine che abbia sede nella provincia di Reggio Calabria. Ma, parere nostro, si andrebbe su un inaccettabile imbastardimento. Per le fusioni c’è tempo di presentare domanda fino al 5 luglio di ogni anno, in merito alla stagione sportiva ai nastri di partenza.
Va inoltre sottolineato come, allo stato attuale, la Reggina ha dei debiti federali che ne consentirebbero eventualmente, nell’estate 2024, la sola iscrizione in terza categoria – o livello leggermente superiore, per motivi di ordine pubblico – o nei campionati giovanili. A prescindere da qualsiasi fusione. Si tratta delle mensilità di giugno, luglio ed agosto ai tesserati decaduti, più i premi. A naso, siamo almeno sui 2 milioni e mezzo di euro. Escutere le fidejussioni (sia quella del campionato 2022/23 che la successiva), non basterebbe a coprire tale cifra. Non sappiamo se è consentito “attingere” da quei buoni del Tesoro presenti in omologa come garanzia.
Infine, un doveroso appunto sulla querelle che ha portato all’assegnazione del titolo sportivo alla Fenice, da parte del Comune di Reggio Calabria. Ma non sulla valutazione, posto che sarebbe stato molto più utile – da parte di Brunetti e commilitoni – porsi dei dubbi a giugno 2022. Quando Saladini rilevava la Reggina – in Serie B – non con la Meglio Questo o con l’ammiraglia FS84, bensì con la Enjoy srl: ditta che affitta pedalò, con capitale sociale risibile e fatturato discutibile.
Vorremmo essere sicuri che l’esproprio del Sant’Agata alla Reggina 1914 sia avvenuto nel pieno rispetto di norme e regole. E ci rivolgiamo ovviamente all’Ente preposto, ossia la Città Metropolitana ex Provincia. Posto che tutti i presidenti da Foti in poi sono stati morosi, ed appurato che solo la gestione Saladini è l’unica a non aver mai versato un solo centesimo sull’annualità di circa 151.000 euro previste, domandiamo quanto segue:
Quando è stata escussa la fidejussione presentata dalla Reggina – sotto la gestione Gallo – per il centro sportivo? Perché è trascorso un lasso di tempo superiore, tra escussione della fidejussione e sfratto coatto, a differenza di analoghi provvedimenti verso realtà sportive minori? Dando per scontato che esista un inventario di tutti i beni materiali di proprietà della Reggina 1914 presenti all’interno del Sant’Agata, perché non è stato effettuato lo sgombero degli stessi beni dalla struttura prima che le chiavi venissero consegnate alla Fenice? Esiste un concordato afferente ad una procedura prefallimentare: se un creditore vorrà pignorare una sedia appartenente alla Reggina, dovrà citofonare alla Fenice?
Per non parlare delle attuali condizioni di utilizzo, a prescindere dal discutibile bando nel quale è prevista anche l’opzione di non assegnazione della struttura: ora come ora, chi sta pagando la corrente al Sant’Agata? Se quel centro sportivo non era pronto all’uso per morosità afferenti sicuramente alla Reggina di Saladini, la Fenice avrebbe potuto e dovuto individuare un’alternativa. Apprezzabile la disponibilità degli Enti a tendere una mano ai nuovi arrivati. Ma trovandosi con due facenti funzioni in seguito alle note vicende, quantomeno la cautela avrebbe dovuto essere anteposta alla fretta.