“Io, neomamma, vi racconto la mia esperienza nel reparto degli orrori”

reggiocalabria ospedaliriuniti21aprdi Simone Carullo - "Consapevole dell'importanza e della solennità dell'atto che compio e dell'impegno che assumo, giuro:

· di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento rifuggendo da ogni indebito condizionamento;

· di perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell'uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale;

· di curare ogni paziente con eguale scrupolo e impegno, prescindendo da etnia, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica e promuovendo l'eliminazione di ogni forma di discriminazione in campo sanitario;

· di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di una persona; [...]

· di promuovere l'alleanza terapeutica con il paziente fondata sulla fiducia e sulla reciproca informazione, nel rispetto e condivisione dei principi a cui si ispira l'arte medica; [...]

· di affidare la mia reputazione professionale esclusivamente alla mia competenza e alle mie doti morali; [...]

· di prestare, in scienza e coscienza, la mia opera, con diligenza, perizia e prudenza e secondo equità, osservando le norme deontologiche che regolano l'esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della mia professione".

Giuramento d'Ippocrate

Pur non avendo alcuna rilevanza penale e pur non essendo tra le peggiori, la storia che una nostra lettrice ha deciso di raccontare rappresenta un buon modo (quantunque parziale) per saperne di più. Il grimaldello per scardinare un sistema reticente, una finestra che da sulle stanze di quello che è stato definito il "reparto degli orrori". Respirarne l'aria, sentire sulla nostra pelle - sebbene filtrato da parole che non potranno rendere appieno l'idea – il clima di freddo terrore, di "supponenza e di minimizzazione" che ivi si respira, è un espediente insieme catartico e conoscitivo.

Siamo in Ospedale, un luogo concepito per essere lo scrigno dei malati, il posto dove i pazienti sono tutelati e garantiti secondo i principi della dignità della persona, del bisogno alla salute, dell'equità, dell'uguaglianza ed infine della qualità ed appropriatezza della prestazione. Ma a volte, solo a volte, l'Ospedale diventa il luogo della tortura, della degradazione, che sono tanto più efficaci quanto più l'oggetto della prevaricazione è debole, fragile di una fragilità di seta.

Da un lato abbiamo le gestanti, che per la loro stessa condizione si trovano in uno stato di vulnerabilità e bisogno; dall'altra abbiamo medici, infermieri e assistenti (non tutti per fortuna, anzi davvero una piccolissima parte), che hanno maturato negli anni un'indifferenza cinica e spregiudicata nei confronti della "missione" che si sono assunti. Infatti, solo un'eclissi di coscienza può spiegare, anche se solo in parte, quel che apprendiamo dalle intercettazioni e dalle indagini in corso; solo un vuoto di morale, un silenziatore dell'anima può "partorire" l'idea che tutto è concesso, che i bambini siano oggetti su cui scommettere; che le future madri siano carne da macello: "Le ho sfondato la vagina"...diceva quello, ed è inutile anche solo commentare.

E' solo una delle tante intercettazioni dell'inchiesta "Mala Sanitas", che alcune settimane fa ha scoperchiato un presunto sistema di coperture degli errori sanitari in vari reparti, tra cui Ginecologia, degli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria.

Per tutelarne la privacy nonché la volontà, abbiamo deciso di non pubblicare il nome della protagonista della nostra storia, anche perché non rilevante ai fini dell'intento divulgativo. La chiameremo dunque "Fortunata", visto che si tratta comunque di una storia a lieto fine.

Fortunata racconta di una gravidanza assolutamente serena trascorsa sotto il controllo di un ginecologo operante presso una clinica privata del centro di Reggio. I problemi iniziano quando, influenzata da amici e parenti, decide di partorire, con anestesia epidurale, presso l'Ospedale Riuniti per meglio garantire se stessa e la salute del futuro nascituro. Sarà una scelta al contempo scellerata e saggia.

Intorno alle 8.00 del mattino del 9 agosto Fortunata rompe le acque, così in tutta calma – dopo aver consultato l'ostetrica che la segue – si reca in Ospedale per il ricovero. In reparto le applicano le flebo e viene informata che per il parto si sarebbe dovuto attendere l'indomani. Le doglie giungono nel primo pomeriggio; il corpo di Fortunata si prepara a dare alla luce una bellissima bimba, tuttavia secondo il personale medico si tratta solo di "dolorini".

Fortunata però avverte che non si tratta "solo" di questo, i dolori delle contrazioni sono sempre più intensi e frequenti nonostante mantenga un contegno pieno di dignità e rispetto. Intanto la rimandano, continuano a minimizzare, rispondono controvoglia. Alle 22.00 il bambino è pronto per nascere, così Fortunata chiede si chiami l'anestetista per procedere con l'epidurale. Nonostante dovesse essere reperibile in dieci minuti, passeranno quasi due ore prima del suo arrivo. Nel frattempo Fortunata è colta da una vera e propria crisi di panico, travolta dai cosiddetti "dolori di parto" e terrorizzata dalla scarsa considerazione di cui sembra godere. L'anestetista, al suo arrivo, la apostrofa come "esagerata": "Sembra che sei andata all'altro mondo e tornata!" afferma.

Ecco che la situazione precipita: l'epidurale - somministrata con colpevole ritardo - non sortisce alcun effetto. I dolori permangono, il parto si prolunga inavvertitamente, anche l'ossitocina somministrata per via endovenosa che servirebbe per indurre il parto aumentando le contrazioni non ottiene gli effetti sperati: è mezzanotte passata quando una contrazione piuttosto violenta si blocca interrompendo così il travaglio. A dire il vero, non è un caso del tutto infrequente quello della cessazione dell'attività contrattile durante il parto, ma è bene sapere che questa è dovuta spesso ad un calo improvviso di energia, alla tensione emotiva o ad uno stato di ansia che nel caso di Fortunata sembra di fatto procurato dalla situazione di terribile incertezza nella quale si sente. Abbandonata per un pomeriggio intero in un letto d'ospedale e con le doglie in corso. Un'attesa di quasi due ore per l'arrivo dell'anestetista. La crisi di panico e l'insistenza cocciuta del personale medico per proseguire con un parto naturale nonostante non ci fossero le condizioni: solo 3 cm di dilatazione dopo ore di contrazioni.

Dunque il parto interrotto, la contrazione con tutto il suo dolore resta bloccata, il battito del cuore della piccola va a zero. I famigliari vengono allontanati, il momento è davvero drammatico. Eppure, solo dopo che la bimba è andata in sofferenza, solo dopo che il suo cuoricino minuto ha smesso di battere, il medico di turno decide di procedere con un cesareo d'urgenza.

"Andiamo di là? Andiamo di là? ... Chiamate immediatamente Neonatologia..." Sono le ultime parole che sente. Poi il taglio cesareo che qualche giorno più tardi, durante una visita di controllo, il ginecologo di Fortunata definirà "scioccante"; un taglio che per poco non è giunto con la gestante cosciente. "Mi sono addormentata appena un attimo prima..."

La mattina dopo Fortunata è in camera gravemente provata dal travaglio e dai suoi postumi. "Dolori atroci" li definisce. La Voltaren intramuscolo non fa effetto, tanto che ne chiede ulteriori che però vengono giustamente differite nel tempo. Intanto Fortunata chiede di continuo ai famigliari notizie del giorno prima. Non ricorda molto, è confusa, non sa della "sofferenza" della piccola. Non sa, ma lo apprende da un'inserviente entrata in camera per sistemare: "Mannaggia - afferma la donna - pensa tu che la bambina se n'era andata in arresto cardiaco..."

Lo choc derivante da un'esperienza simile ha comportato strascichi tanto fisici quanto psicologici. I dolori del parto e del taglio non l'hanno abbandonata per un mese circa, ma più che quelli è stato lo stress psicologico ad abbattersi violento come una mannaia sul suo umore. Un trauma sfociato in una forte depressione post-parto, determinato dalla sofferenza prolungata e dall'insensibilità con cui si è sentita trattata, che è tanto più odiosa quanto più la giovane neomamma si trovava in una situazione di disagio e fragilità.

Oggi Fortunata è tornata a sorridere ed a lavorare, la piccola sta bene ed è un bocciolo di rosa.

*Il presente articolo ha intenti esclusivamente divulgativi e riporta una testimonianza resa in piena libertà. E' evidente che il rischio di fare generalizzazioni è alto, pertanto è importante chiarire che l'esperienza è riportata secondo un punto di vista soggettivo; che non è intento del giornale né della persona coinvolta affermare che il reparto di Maternità non funzioni in toto o che tutti, medici ed infermieri, siano cattivi professionisti; anzi è convincimento della nostra testata che presso l'Azienda Bianchi Melacrino Morelli lavorino molti professionisti validi. A loro e agli altri, a Fortunata ed alla sua piccola, ma soprattutto a noi stessi dedichiamo la seguente citazione:

"Il punto è che per diventare medici, dobbiamo curare il paziente oltre che la malattia. Dobbiamo tuffarci nelle persone, navigare nel mare dell'umanità [...] Il vero nemico non è la morte, vogliamo combattere le malattie? Combattiamo la più terribile di tutte: l'indifferenza". (Patch Adams)