di Paolo Ficara – Lo strazio cui è sottoposto qualsiasi tifoso della Reggina, specie quelli che hanno girato l’Italia negli ultimi 40 anni per sostenere gli eroi in amaranto, ormai non conosce limite. La zona playout nel girone I in Serie D, attualmente occupata, è molto peggio di un fallimento. Siamo oltre il più intellegibile concetto di vilipendio verso una città, una tifoseria, una maglia, una storia di 111 anni.
Ed in seconda categoria, difficilmente si vedono gli errori commessi domenica. Nel primo tempo in casa dell’Acireale.
Chissà perché, nei giorni che hanno preceduto il match, non abbiamo riportato la notizia della multa alla società. E dell’inibizione al presidente Virgilio Minniti. Forse volevamo non fomentare l’ambiente? Tanto, l’hanno riportata tutti. Forse il motivo era un altro, essendoci di mezzo la Scafatese: ancora ci fischiano le orecchie, da quando i servi sciocchi di Peppe Tispettusutta hanno sollevato il sospetto che da Reggio avessero avvertito i campani, circa un presunto tesseramento irregolare di Bertony Renelus. Il tutto, senza fare nomi. Da vigliacchi. Ma con precisi riferimenti.
Evidentemente la stessa struttura amministrativa della Reggina, lo stesso direttore generale e lo stesso segretario, con la Scafatese devono essere sfortunati. Andava suddiviso l’incasso della finale playoff, come da regolamento. Ai gialloblu toccavano 15.000 euro e rotti. Cifra che non poteva non essere presente in cassa, proprio in quanto trattavasi di soldi liquidi. Botteghino. Biglietteria. E sono stati versati in ritardo, non si sa di quanto, rispetto ai tre giorni previsti da regolamento.
Due sono le cose: o chi di dovere, nella Reggina, i regolamenti non li conosce a memoria. Oppure avrà provato a sfidarli, i regolamenti. Tanto, per Renelus era andata bene. Sta di fatto che i responsabili sono sempre al loro posto, come se il conto non fosse il loro. Dopo la fidejussione del 2018, le penalizzazioni, gli stipendi non pagati, di quante pagine deve ancora allungarsi il curriculum di Peppe Tispettusutta prima di essere rispedito al negozio di famiglia?
Ribadiamo. Ripetiamo. La parentesi di questa società alla guida della Reggina, è da considerarsi conclusa. Oltre alla gara di Acireale, ci auguriamo non ce ne siano tante altre a titolo di accanimento terapeutico. Il guaio è che nessuno dei protagonisti, dà l’impressione di sapere cosa bisogna fare. Come uscirne. Ballarino, Torrisi, Barillà. Falcomatà.
Già, i politici. Qualcuno fermi Brunetta. Lo rimandi ad inaugurare qualche altro bar ai confini della nazione, nel momento in cui ci sarà da defenestrare gli attuali occupanti. Si ostina a tentare determinate arrampicate sugli specchi, che nemmeno Sylvester Stallone in Cliffhanger oserebbe tanto.
Che bisogno c’è di sottolineare come le offerte di Ballarino e Bandecchi fossero uguali? Quali offerte? Ma cosa blatera? Era un bando o un’asta? Bisognava scrivere qualche cifra in busta chiusa? Andava versato un fondo perduto di 400.000 euro alla Figc, per l’iscrizione in Serie D. Ballarino ha messo un assegno con quella cifra. Bandecchi pure. Quanto avrebbero dovuto mettere? Uno 399 e l’altro 401?
Circa il rappresentante in cda che ci sarebbe dovuto essere come da bando, da parte dell’amministrazione comunale, l’assurdità diventa grande quanto piazza Italia. Innanzitutto, se è una precisa richiesta del Comune a titolo di “vigilanza”, è chiaro che andava ottemperata da subito. Poi va ricordato che già come Fenice Amaranto c’era un presidente (Minniti), un vicepresidente (Vitale) e un consigliere d’amministrazione. Ruolo rivestito da una delle figlie di Ballarino. Quindi, questo consiglio d’amministrazione era esistente. Già dall’inizio. E non vediamo perché non dovrebbe esistere dal giugno 2024, nel momento in cui la Fenice si è trasformata in una società sportiva dilettantistica a responsabilità limitata. Chiamandosi AS Reggina 1914. Brunetta. Oh Brunetta.
Ballarino si deve decidere a staccare la spina per primo. Definitivamente. Senza cullarsi all’infinito, circa il signor Tentenna seduto sullo scranno più alto di Palazzo San Giorgio. Ha ricevuto il titolo sportivo in una piazza importante, potendo partire dalla Serie D senza debiti. I debiti attuali vanno quantificati, altrimenti si parla del nulla. E l’unico valore è quello del marchio. Che di sicuro, con la squadra in zona playout in Serie D, non può aver subito impennate rispetto alla cifra sborsata per l’acquisto.
Inutile attaccarsi ai 400.000 euro spesi per l’iscrizione. Anche se avesse versato tre milioni come quota di affiliazione, oggi il valore della Reggina sarebbe sempre il medesimo. Zero. Non ha asset. Quei giovani interessanti della passata stagione, o in prima squadra o nella Juniores, sono tutti andati via gratis. Non c’è patrimonio. Ci potrebbero essere soltanto pendenze. Ed è troppo comodo installare pali della luce al Sant’Agata, fin quando la bolletta verrà pagata in anticipo dalla Città Metropolitana. Con i soldi nostri.
Se nemmeno il primo cittadino prenderà una posizione, una direzione, una decisione nelle prossime 48 ore, andremo da Gerry Scotti: è la sua risposta definitiva, la accendiamo, non è cosa sua. Chissà che, alla fine, il passo più importante per concludere questo strazio non venga mosso da chi meno ce lo aspettiamo.
