Quei “canti di malavita” che rendono la ‘ndrangheta inafferrabile

cantodimalavitadi Claudio Cordova - Sono quelle musiche, ma, soprattutto, quelle parole che contribuiscono a creare quell'aura di mistero e di fascino attorno alla 'ndrangheta. Quelle musiche e quelle parole che rendono la criminalità organizzata calabrese qualcosa di ben diverso rispetto alle altre organizzazioni criminali, una vera e propria "setta", in cui anche i "canti di malavita" rappresentano quasi una formula di iniziazione (o di rinnovamento del rito) per boss e affiliati. Quelle musiche e quelle parole sono però anche al centro di una vicenda giudiziaria che vede per protagonisti gli attivisti dell'ex Museo della 'Ndrangheta (oggi Osservatorio sulla 'ndrangheta). La Procura di Reggio Calabria ha infatti chiuso le indagini nei confronti di Francesco Sbano e Demetrio Siclari.

La vicenda è assai particolare: nel maggio 2012 i due si sarebbero presentati presso la sede del Museo, a Croce Valanidi, dichiarandosi "autore" e "manager-produttore" dei cd "I canti di malavita" per chiedere maggiori informazioni sull'utilizzo che il Museo della 'ndrangheta fa delle canzoni all'interno di laboratori didattici per lo studio del linguaggio della 'ndrangheta, rivendicando esplicitamente i propri diritti d'autore per l'uso delle loro opere. "Sangu chiama sangu", "I cunfi renti", "Omertà", "Cu sgarra paga", "Appartegnu all'onorata", "Ergastulanu", "Mafia leggi d'onuri". Sono solo alcuni dei titoli di un genere musicale assai particolare.

A denunciare l'accaduto, diversi mesi fa, sarà lo stesso coordinatore dell'Osservatorio sulla 'ndrangheta, Claudio La Camera: Sbano e Siclari si sarebbero rivolti ai collaboratori del Museo con tono offensivo e minaccioso, chiedendo di visionare il materiale che La Camera e i suoi colleghi utilizzerebbero per spiegare agli studenti il fenomeno 'ndrangheta. Da anni, infatti, il Museo della 'ndrangheta si impegna in incontri, anche nelle scuole, per spiegare agli studenti dinamiche e pericolosità sociale del fenomeno 'ndrangheta. Incontri svolti con i più giovani anche per analizzare i vari aspetti della canzone di malavita, del linguaggio utilizzato e di come la mafia strumentalizza la musica popolare per mitizzare i suoi capi e per esaltarne le gesta.

Nel proprio esposto, La Camera cita anche alcune frasi che uno dei due personaggi denunciati avrebbe rivolto ai collaboratori del Museo: "Siete d'accordo con quella [...] di Francesca Viscone?...quella [...]! Ci state causando un sacco di danni. In Germania, in tutto il mondo i nostri concerti sono acclamati, proiezioni e concerti nei più grandi teatri... grosse orchestre..". Il riferimento è alla giornalista Francesca Viscone, che ai "canti di malavita" dedicherà alcuni articoli, raccontando, in particolare, come la Germania fosse stata "stregata" dai canti di 'ndrangheta, soprattutto dopo la strage di Duisburg, che nel giorno di Ferragosto 2007 porterà la Calabria su tutti gli organi di informazione del mondo.

Da uno degli articoli a firma della giornalista: "I giornalisti scrissero che i mafiosi erano come Robin Hood: eredi dei briganti. Falso. I briganti erano ribelli sociali, ai mafiosi interessa da sempre solo il potere. La mafia sarebbe nata come avvocato del popolo. Falso. La mafia usa i poveracci come braccio armato, per poi disfarsene, quando non servono più. I mafiosi si sarebbero ribella-ti alle occupazioni straniere. Falso. Questi "stranieri"hanno influenzato positivamente la storia e l'identità del Mezzogiorno. Il meticciato culturale delle nostre origini è la radice della nostra modernità. Le canzoni celebrano una mitologia mafiosa: è solo una leggenda che tre nobili cavalieri spagnoli abbiano fondato le mafie. Scrissero che quella musica era espressione della nostra cultura popolare. Falso. La subcultura mafiosa è recente e spietata. La musica popolare calabrese ha origini millenarie e non è mai crudele e sanguinaria. I giornalisti hanno identificato la mentalità mafiosa con la cultura dei ceti subalterni: così hanno occultato l'esistenza di una borghesia criminale. La mafia non appartiene a nessuna classe sociale e a nessun partito: è trasversale. La tarantella sarebbe un ballo mafioso. Falso". Un giudizio critico, sui "canti di malavita", che avrebbe indotto Sbano e Siclari a effettuare un blitz presso la sede dell'allora Museo della 'ndrangheta. I due giovani collaboratori del Museo avrebbero dunque invitato Sbano e Siclari a rivolgersi a La Camera per iscritto. Qui, a detta dell'esposto del Museo della 'ndrangheta, i due sarebbero andati in escandescenze, lasciandosi sfuggire anche delle bestemmie: "Vi siete informati su di me? – avrebbe detto Sbano ai collaboratori - E tu saresti un musicista? Incompetente! Non sai cosa ti aspetta!".

Secondo la ricostruzione svolta da La Camera e affidata ai magistrati di Reggio Calabria per le opportune verifiche, le richieste di Sbano avrebbero fatto riferimento alla circostanza che nel corso dei laboratori sarebbe citata la canzone "Non c'è perdunu" come esempio di esaltazione dei valori mafiosi. Una canzone che farebbe più o meno così: "Due cose al mondo sono più potenti, amore, donne e cuore di briganti... un vincolo di fede e di omertà, contro la prepotenza e infamità...non c'è perdono non c'è pietà contro chi sgarra con la società...la legge della mafia è l'onore, è una catena che non puoi sciogliere e se condanna vili e traditori sono pronti per l'amico a morire".

Una denuncia che, a distanza di oltre un anno e mezzo dall'accaduto, si formalizza con la chiusura delle indagini preliminari da parte della Procura di Reggio Calabria: un atto che potrebbe essere prodromico alla richiesta di rinvio a giudizio.

Dopo la letteratura e il cinema, dunque, anche la musica diventa veicolo dei (dis)valori della criminalità organizzata. In maniera talvolta maniacale, sanguinari esponenti della 'ndrangheta, riconducono le proprie fortune a una presunta protezione da parte del Cielo, che li guiderebbe lontani, al sicuro, in modo tale da poter mantenere la propria leadership: "Da sempre la 'ndrangheta si serve di canzoni, proverbi, codici per diffondere le proprie leggi e i propri disvalori. [...] Strumentalizzando il linguaggio del popolo, al solo fine di potersi meglio confondere e di ottenere un più facile consenso" scrivono Nicola Gratteri e Antonio Nicaso nel proprio libro "Fratelli di sangue".

E' qualcosa che probabilmente va ben oltre le ormai celeberrime canzoni neomelodiche in voga soprattutto in Campania. Attraverso le canzoni di 'ndrangheta, il potere della criminalità organizzata – già in sé assai pericoloso – diventa qualcosa di molto peggio: diventa un simbolo.

La mitizzazione dell'organizzazione criminale, l'affiliazione, l'omertà, la convinzione di essere investiti di una protezione del Cielo, l'odio nei confronti delle forze dell'ordine e delle Istituzioni in generale e, ancora, il "codice d'onore" da rispettare per guadagnarsi il "rispetto". Le canzoni di 'ndrangheta rappresentano uno strumento prezioso per la sopravvivenza e per il rafforzamento dell'organizzazione criminale. Non è un caso che questo tipo di composizioni trovino sempre spazio nelle prime file delle bancarelle che affollano la festa della Madonna della Montagna a Polsi, luogo ormai noto più per le riunioni di 'ndrangheta che non per l'aspetto religioso e spirituale.

Non è un caso che un altro dei successi della medesima collana di Francesco Sbano, "Ninna Nanna Malandrineddu" tra i suoi versi reciti: E tu t'ha fari randi, presti a crisciri, Sferri e cuteddhi sempri ha maniari, L'onuri da famigghia ha manteniri, Figghiuzzu a to patri l'ha vendicari".

La 'ndrangheta ruba simboli, ruba credenze, ruba riti e usa tutto ciò per creare una propria identità culturale, per diventare affascinante, creare consenso presso l'opinione pubblica e legittimare il proprio controllo del territorio.

Agli atti dell'indagine "Pettirosso", curata dal pm Roberto Di Palma sulla 'ndrangheta della Piana di Gioia Tauro, c'è anche una canzone, si intitola "Circondatu".

"CIRCONDATU"

Mi ero preparato per andare a caccia

da un giardino vedo ad uno che scappa

cercai di seguirlo con lo sguardo

mi sento gridare fermo polizia!

Mi sono sentito perduto e circondato

cercai di scappare verso la fiumara

ma pure da quella parte era pieno

ho visto un carabiniere che mi guardava!

Puntando il mitra verso di me

dicendomi fermo polizia

lo guardai puntandogli il fucile senza paura

credendo che voleva spararmi!

Cercai di nascondermi dietro le canne

io mi tuffai nella fiumara

la corrente era così forte

che per poco non annegavo!

Mi trascinava come se fossi morto

ogni tanto me ne andavo a fondo

rotolando mi stavo affogando

che dopo un po' presi respiro!

Cercai di uscire da quella fiumara

perché l'elicottero l'avevo di sopra

scappando arrivai in una strada

che era amore mio senza uscita!

Cercai aiuto al Signore

che dal cielo mi illuminava un sentiero

il tempo faceva acqua a non finire

così mi sono potuto salvare!

Stavo morendo dal freddo

tremavo come una piccola canna

quella famiglia mi diede aiuto

che m'accese un piccolo fuoco!

Non trovo le parole per ringraziarvi

di tutto ciò che m'avete fatto

mi sento tanto onorato

che mi avete dato tanto affetto!

Mi dispiace solo per mio cugino

che non si è potuto salvare

ti auguro tutto il bene di questo mondo

a me adesso aiuta Dio in queste fiumare!!

Il protagonista è Gregorio Bellocco e il componimento è il racconto di una fuga, avvenuta nel 2003, allorquando i carabinieri fanno irruzione in un bunker situato ad Anoia: cercano proprio Gregorio Bellocco, latitante dal 1994 e ricercato in seguito all'operazione "Isola felice". L'uomo, però, riesce a fuggire in maniera rocambolesca. I particolari, fisici ed emotivi, della fuga, vengono cristallizzati in "Circondatu". Bellocco verrà arrestato due anni dopo, nel 2005: all'interno del suo covo verrà ritrovato un compact disk dal titolo "Penzeri di nù latitanti", in cui cantano, Enzo, Pino e Rizzotti - secondo volume - prodotto da ALOI Record. Il testo di una canzone, che ben descrive la mentalità 'ndranghetistica:

"Nu' cane fedele"

Ma la sfortuna non mi da avvento

perché gli infamoni sono assai

e non si fanno mai gli affari suoi

e spesso li devo richiamare

Poi non sono come si pensa

sono un Cristo che deve sopravvivere

e pure alla famiglia devo pensare

mi basterebbe aver da fare

Perché non cerco niente a nessuno

vi giuro neanche un pezzo di pane

io certo non mi faccio vedere

gli bruciano gli occhi a questi infamoni

Come gli antichi dovrei fare

che gli tagliarono la lingua a queste carogne

ma io sono uno assai credente

e non vorrei io fare del male

Però non fatemi perdere la pazienza

cercate di farvi i fatti vostri

se volete stare con la pace

non mi tradite se voi mi vedete.

Canzoni popolari, canzoni in vernacolo, testi realizzati per innalzare la figura dell'uomo d'onore, contribuendo a creare un'aura di onnipotenza e inafferrabilità. Assicurandosi il silenzio di coloro che venivano presi, la criminalità organizzata ostenta di essere per alcuni versi più forte dello Stato, e certamente più efficace. Su questo puntano le mafie, di qualsiasi regione e territorio esse siano. L'astio, l'odio e la voglia di vendetta nei confronti degli "spioni" è, infatti, un sentimento comune a tutte le organizzazioni criminali. Esemplificativo, anche per fornire un termine di paragone tra 'ndrangheta e Cosa Nostra siciliana, è questo passaggio scritto da Salvatore Lupo nella sua ricostruzione sulla storia della mafia siciliana: "I canti carcerari esprimono disprezzo per "l'omu chi parra assai", il quale "cu la so stissa ucca si disterra" (traduzione: l'uomo che parla molto si rovina con la sua stessa bocca). [...] La qualifica di spia, 'nfami, cascittuni, rappresenta un pesante fardello per chi ne viene colpito e insieme una giustificazione per chi uccide. [...] L'omertà, intesa come ripulsa "morale" nei confronti del ricorso al sistema legale, rappresenta forse un valore generale, un modello ideale di comportamento delle popolazioni siciliane e in particolare del vasto universo criminale; certo non è una guida per l'azione dei mafiosi, i quali collaborano quando e come ad essi conviene".

Ma la 'ndrangheta, a differenza di Cosa Nostra, ha sempre fatto uso di codici scritti, di rituali e di simbologie. Sembrano usanze arretrate e, per certi versi, ancestrali, ma che, di fatto, costituiscono uno dei punti di forza della 'ndrangheta. Nessuna stregoneria, nessuna vanità. Stando alle indagini della magistratura, gli affiliati darebbero grande importanza all'esistenza e, ove possibile, alla consultazione dei codici della 'ndrangheta. Essi, infatti, verrebbero sentiti come delle vere e proprie guide, che testimonierebbero l'appartenenza a un'unica "famiglia", cui prestare la propria fedeltà eterna.