di Paolo Ficara – L’unica vera fortuna di questa testata giornalistica, in relazione agli ultimi mesi della Reggina, è quella di non aver mai utilizzato la seguente locuzione: abbiamo toccato il fondo. Altrimenti, avremmo dovuto scriverla in loop. Da settembre ad oggi, e chissà ancora per quante settimane. Tuttavia rivendichiamo un altro concetto che intendiamo, questo sì, ripetere fino alla nausea: questa società è al capolinea. E prima se ne renderà conto, meglio sarà per tutti. In primis per loro.
Dopo la sofferenza stampa tenuta dai due tronfi dirigenti, la cena di gruppo con tanto di foto, qualche narciso che tornava a bearsi della propria immagine dopo alcuni giorni di astinenza da social, l’illusione era che questo manipolo di mancati circensi si fosse perlomeno ricompattato.
E se si sono ricompattati ma il risultato rimane quello di un’altra sconfitta interna, contro un’altra neopromossa dall’Eccellenza, allora dobbiamo rimangiarci – stavolta sì – un concetto espresso più volte: questa non è una squadra da primo posto. Ci siamo sbagliati. Confidavamo nell’inadeguatezza delle altre diciassette, più che altro.
Ora, se proprio lorsignori non intendono togliere il disturbo – e che disturbo – almeno aprano la terza fase della campagna abbonamenti. Quella della restituzione tessere. Con annesso rimborso integrale. Per le seguenti motivazioni. I tre pezzi grossi della campagna acquisti, sono:
- Montalto, svincolato dopo poche presenze e con motivazioni criptiche.
- Blondett, messo alla porta come se fosse una mela marcia. Ed ancora sotto contratto.
- Di Grazia, umiliato con una sostituzione punitiva, prodromo che il suo status ricalcherà quello dei precedenti due compagni.
Sta di fatto che senza Montalto e Blondett, e con Di Grazia sostituito sul parziale di 1-0, la Reggina ha perso anche contro l’Athletic Palermo. Società, dirigenza ed allenatore (sia quello iniziale che il subentrato) hanno chiaramente fissato il primo posto come obiettivo non bucabile. La Reggina, oggi, deve ringraziare la maxi-penalizzazione del Messina. Per non trovarsi a ridosso della zona retrocessione diretta. Se non verrà valutato il rimborso degli abbonamenti (sorvolando sulla bontà del servizio streaming), allora dovranno essere i tifosi a mettersi insieme e valutare una class action.
Non basterebbero tre articoli, inoltre, per replicare alla sofferenza stampa di martedì scorso. Ma si tratterebbe di lavare la testa all’asino. Ci soffermiamo solo su un punto. Il sindaco Falcomatà aveva parlato di scialuppe non sfruttate dalla Reggina, nel passato o nel presente, in termini di svolte societarie. Non ha mai spiegato – né qualcuno si è degnato di domandarglielo – a chi si riferisse, nel presente. Fatto sta che gli ha lanciato un bel salvagente. Almeno, come Città Metropolitana.
Premessa. Onore alla ditta Soseteg, con riferimento all’appassionato ingegnere Curatola, se avrà modo di investire un bel capitale per rimettere a nuovo un patrimonio della città. L’a.t.i. formata con l’ei fu Fenice quando ancora non aveva cambiato denominazione, per far intendere come si attendesse il bando dalle calende greche, prevede una sua partecipazione nella misura di circa il 90%. La Reggina, quindi sarebbe quasi una sorta di spettatrice interessata.
Se il Sant’Agata verrà messo a reddito, o magari lo è già e se ne sono accorti in pochi, saremo ampiamente favorevoli. Certo, la Reggina perderebbe un po’ di intimità. Con i giocatori che dovranno stare attenti a non dire mezza parola in più del dovuto, percorrendo a piedi il viale che li porta dai campi alla foresteria. Rischiando di incrociare qualche amatore che viene per farsi la partita con gli amici, a calcio o a padel. Una cosa è certa: a quel punto, potremo scrivere a caratteri cubitali che al Sant’Agata si paga per giocare.
Nella speranza che il Sant’Agata torni un giorno a sfornare un altro Perrotta, e temendo che faccia prima a partorire un campione di padel, sarebbe interessante vedere le carte in merito ai costi di ristrutturazione. Il costo di partenza, che dovrebbe essere pari a 2 milioni e mezzo, rappresenta una cifra superiore a quella spesa in lire da Pino Benedetto per trasformare l’ex discarica in centro sportivo. Ma erano altri tempi.
C’è da capire se questi costi siano già lievitati sopra i 3,5 mln, alzando di riflesso la cifra della teorica penale che verserebbe un ipotetico concorrente al prossimo bando, in caso di aggiudicazione. Torre del Grifo, ormai storico centro sportivo del Catania ed un tantinello più grande del Sant’Agata, è stato di recente venduto alla proprietà Pelligra per 5,5 mln. Partendo da una base d’asta di 4 milioni. Venduto. Intero. Definitivo. Non concesso per 20 anni. E si trova da anni in stato di abbandono, più volte vandalizzato.
Se sulle cifre si può trattare di curiosità, e ribadendo l’apprezzamento verso il progetto targato Soseteg, le dichiarazioni di qualche protagonista non possono non destare allarme.
Per il Sant’Agata siamo solo al via libera, per quello che dovrà essere un bando. E ad un bando, può partecipare chiunque. Eppure, il vicesindaco metropolitano Carmelo Versace si è lasciato andare a questa esternazione: “Dopo anni di attesa, la casa dei reggini torna finalmente alla Reggina”. Ha la palla di vetro?
Ad alzare le braccia in segno di esultanza, molto prima del traguardo, è stato poi il direttore generale Giuseppe Praticò. Il quale, in merito all’assegnazione del Sant’Agata, ne ha parlato come di una sua vittoria. Premesso che in ogni caso non lo strapperebbe ad Elon Musk, e che al Sant’Agata c’è sempre stata la Reggina – tranne quei mesi in cui Antonio Girella beffò lui e suo padre – riteniamo quantomeno strana tale esternazione.
Ah, comunque, buon compleanno al presidente Minniti.
