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La rovina della Reggina

di Paolo Ficara – La Reggina è ormai un dolce ricordo. Per alcuni, il più bello in assoluto. Ed i ricordi sono legati a momenti felici. Ma anche ad uomini. Chi più e chi meno, quasi tutti i presidenti – o proprietari – ci hanno fatto conoscere chi un’epopea, chi un solo campionato, chi qualche singola partita di assoluta esaltazione.

L’elenco sarebbe troppo lungo. Fate voi. Dal gol di Camozzi a Cosenza, passando per gli spareggi di fine anni ’80, il gol di Cozza a Brescia o l’Olimpico espugnato al primo anno di Serie A, finendo col campionato trionfale del 2019-20 in C. E perché no, persino il gol di Canotto all’Ascoli fa entrare Saladini tra i patron che, almeno per qualche minuto, ci hanno regalato una forte emozione.

Poi ci sono stati anche quei presidenti capaci, oltre che di farci vibrare l’anima, anche di costruire qualcosa. Pino Benedetto ha messo su il Sant’Agata, Lillo Foti lo ha portato avanti costruendoci di fatto un’epoca forse irripetibile. Entrambi capaci di cessioni importanti, linfa vitale: da Massimo Orlando alla Juventus a Rolando Bianchi al Manchester City, anche qui la lista è piena.

Poi uno pensa a Praticò. Ci ripensa. Si concentra. Si sforza. Ma vengono in mente solo guai. E figuracce.

Due giorni fa abbiamo citato qualche memorabilia, circa rovinose o inusitate sconfitte interne. Non abbiamo messo il derby interno con il Cosenza, stagione 2017-18 in C, quando i lupi annaspavano a fondo classifica. Quei dieci minuti iniziali del secondo tempo, con passaggi sbagliati che finivano in fallo laterale. Fin quando gli ospiti non segnano. Vincono. E da lì in poi, si risollevano fino a disputare i playoff. Vincerli. Ed andare in Serie B, mentre a Reggio si voleva far passare la salvezza come grande risultato. E poi, sempre nella stessa stagione, quel difensore amaranto che fa l’assist all’attaccante avversario sul neutro di Siracusa: 1-0 per l’Akragas, fanalino di coda, reduce da sette sconfitte consecutive, in piena crisi societaria.

Il dicembre 2018 rappresenta sicuramente l’apice. Stipendi non pagati, debiti, primo e fin qui unico sciopero minacciato ufficialmente dai calciatori della Reggina. E soprattutto, un’istanza di fallimento pronta a diventare sentenza già dopo Capodanno. Il tutto venne risolto con l’unica cessione societaria che non sia avvenuta a costo zero, nella storia recente della Reggina. Non possedendo lo scibile degli interi 111 anni di percorso.

I Praticò, cedendo di fatto la propria società P&P e facendosi dunque beffe dei vari soci di minoranza, sono stati gli unici a dare un prezzo a ciò che si ostinano a chiamare “atto d’amore”.

Adesso ci si appella ai reggini. Che bella memoria corta. Come se non fosse stato un questurino reggino, nel 2023, a rendersi protagonista del primo fallimento avvenuto in Serie B. E come se all’interno dell’attuale Reggina, di reggini non ce ne fossero. E se avessero davvero a cuore le sorti della squadra, si sarebbero dovuti come minimo dimettere. Di fronte all’insopportabile umiliazione cui siamo sottoposti.

La Reggina è in Serie D. Doveva vincere al primo anno, come da progetto. Ma si conoscevano le difficoltà di chi parte in grave ritardo. Il secondo anno c’era il dovere di rimediare, e non ci si è riusciti pur di fronte a presidenti avversari o ingenui o comunque allegri. Quest’anno, senza particolari pretendenti al primo posto, la Reggina è nelle retrovie. Non seconda, non terza. Sicuramente non prima con almeno quattro punti di vantaggio, come si pretendeva. Non ci sono aggettivi per descrivere questo schifo assoluto.

Però adesso Praticò è dirigente. Perdente, come lo era da proprietario. Lì nel suo posto centralissimo in vip, ad ammirare anche stavolta sconfitte strane. E sempre ignaro di una contabilità che non può essere florida, vista la situazione già scoperchiata per lo stadio. Nonché per i costi della corrente al Sant’Agata. Che la sua presenza costituisca di fatto una rovina per la Reggina, è un’opinione suffragata dai vari fatti elencati.

A maggior ragione, non si comprende Ballarino che se lo tenga a fare.

In quale maniera Ballarino ritiene di poter passare sopra, finanche all’incontro che il padre del suo direttore generale ha avuto con i tifosi. Alla vigilia di una gara delicata, come quella di San Cataldo. Con Carminello che ne ha spoilerato in buona fede i contenuti. Con quale faccia questo signore è andato ad auspicare, davanti a tifosi decisamente conosciuti in città, che a fine stagione la Reggina deve tornare ai reggini?

Ribadiamo: ma Ballarino lo sa che c’è chi, per lui, non solo ha deciso che deve cedere, ma anche a chi cedere?

Se ancora non lo sa, speriamo lo capisca con un tempo di reazione superiore rispetto a chi non ha ancora capito qual è il vero male della Reggina. E che prosegue a rendersi strumento inconsapevole, ieri di chi non voleva Manuele Ilari e oggi di chi usa il termine “reggini” per spingere, di fatto, per sé stesso. E per portare avanti i propri comodi. Facendo passare per rompiscatole qualche giornalista, da mettere a tacere. Dopo aver ottenuto la complicità di tante altre componenti.

Che oggi la Reggina abbia urgente bisogno di una nuova proprietà, non ci sono dubbi. Il tutto si scontra con lo stato di consapevolezza degli attuali possessori, i quali devono entrare nell’ordine delle idee di chi deve fermarsi per non farsi più male, economicamente. Ma il calcio non funziona come la politica. Non si può “eleggere” il nuovo proprietario. Certi reggini hanno scritto la storia in positivo, altri ci preoccupano. Alla Reggina serve un presidente e/o un direttore vincente. I perdenti, vista anche la carenza di umiltà, vanno mandati a casa.

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