Un incontro in un ufficio in via Vittor Pisani, a due passi dalla stazione Centrale di Milano, in cui “sei gruppi” con dentro persone legate “a diverse e potenti famiglie di ‘ndrangheta” avrebbero deciso di “operare” assieme “nel business dei rifiuti”, dividendo i “profitti”. E’ uno dei particolari che emerge dall’ordinanza eseguita oggi nell’inchiesta della Dda di Milano che ha portato in carcere, tra gli altri, Giovanni Morabito, medico 59enne che lavorava in alcune Rsa milanesi (è stato arrestato nella sua abitazione milanese) e figlio dello storico boss Giuseppe detto ‘U tiradrittu’.
L’incontro “importante”, come si legge negli atti, sarebbe avvenuto il 26 giugno 2020 “negli uffici di via Vittor Pisani”, usati dal “gruppo” di Giovanni Morabito come base delle attività illecite. A decidere come spartirsi il business dei rifiuti, secondo l’ordinanza cautelare, sarebbero state persone legate alle cosche di ‘ndrangheta “Alvaro, Mancuso, Piromalli, Bellocco e, ovviamente, Morabito”.
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In un’intercettazione si sente Massimiliano D’Antuono, uno degli arrestati, dire: “Noi abbiamo il gruppo di Tonino (…) se io devo mangiare sul gruppo di Tonino, devi mangiare anche te, deve mangiare anche il Benza (…) Ciccio ci porta la discarica tutti mangiamo su quello di Ciccio”. La Dda aveva chiesto al gip l’applicazione di 65 misure cautelari per altrettanti indagati, tra cui 41 richieste di carcere, ma il gip ha accolto le istanze di misura cautelare per 18 persone (sette in carcere).
Non è stata riconosciuta dal giudice, neanche per Giovanni Morabito, l’accusa di associazione mafiosa, ma solo quella di associazione per delinquere con la finalità di agevolare la ‘ndrangheta.
Giovanni Morabito, detto “il dottore” nelle intercettazioni, come risulta dall’ordinanza, sarebbe stato l’uomo che autorizzava le “operazioni di narcotraffico” e svolgeva ruoli di “mediazione in caso di contrasti”. Ed era sempre lui, secondo le accuse, attivo nel “procacciamento delle risorse economiche necessarie ai traffici”.
Era “attorno a lui” che ruotava il “gruppo di via Vittor Pisani 10”, dall’indirizzo della “base logistica e operativa”. In un’intercettazione del dicembre 2020 D’Antuono, presunto braccio destro di Morabito, elencava “i plurimi servizi (illeciti) offerti” dall’associazione criminale, come le “indebite percezioni di finanziamenti pubblici connesse al ‘decreto liquidità’ e al ‘decreto rilancio'”, con presentazione di “istanze per un valore di quasi 2 milioni di euro”.
Alcune sono state “liquidate” per circa 35mila euro, mentre tutto il resto è stato “bloccato”, dopo l’intervento degli inquirenti. Morabito, ad esempio, intercettato spiegava così gli affari: “Gli amici miei sono abituati a tutti i possibili imbrogli”.
E faceva cenno persino “alla disponibilità – spiega il gip Santoro – di una società ‘quotata alla Borsa Americana con cui possono fare tante cose, tipo la Onlus dentro le Nazioni Unite'”. Il “gruppo” si muoveva nel settore dei rifiuti, in quello “dei traffici illeciti di carburante” e nell’edilizia.
La “vocazione” del gruppo, si legge, era quella di “stringere alleanze e offrire ai partner” servizi per fare “profitti” all’interno di un “sistema” in cui le famiglie di ‘ndrangheta ne traevano “evidenti benefici”. Giovanni Morabito, tra l’altro, avrebbero tenuto contatti anche con persone legate alla camorra, come per gli affari sull’Ecobonus.
Il gruppo, però, spiega il gip che non ha riconosciuto l’associazione mafiosa, non aveva “collegamenti organizzativi” con la cosca “madre” calabrese e l’unico dato di “collegamento” era la “persona di Giovanni Morabito”. Tra i business anche la “vendita di false fideiussione bancarie a favore di imprese” che non potevano disporne. Oltre all’accaparramento delle “varie sovvenzioni legate alla pandemia Covid”.