di Paolo Ficara – Nell’immaginario collettivo internazionale del gioco del calcio, il numero 14 richiama alla mente Johan Cruyff. L’europeo che più di tutti, o comunque prima rispetto a gente come Michel Platini o Roberto Baggio, si è avvicinato alla tecnica individuale di Pelè. Se sei un calciatore olandese e ti ritieni superiore alla media per qualità, il primo numero di maglia a cui aspirerai non sarà il 10. Ma sempre e solo il 14.
Per chi non si è perso una partita della Reggina in Serie A. o comunque a partire dagli anni ’90, il numero 14 richiamerà sempre alla mente un calciatore diametralmente opposto rispetto a Cruyff. Col quale avrà in comune la duttilità nell’aver ricoperto più ruoli. Ma che incarna lo spirito guerriero di chi, il fantasista avversario, proverà ad annullarlo dal 1′ al 90′ più recupero. A volte, già a partire dal tunnel degli spogliatoi.
Ogni tifoso della Reggina sa che stiamo parlando di Simone Giacchetta, come ogni cittadino francese – colonie incluse – sa che la Tour Eiffel si trova a Parigi.
Un capitano che nel decennio trascorso a Reggio, qualche volta sarà stato anche tentato di chiedere la cessione: “Sono state di più volte in cui mi sono detto che resto qui. Però ci sono state anche occasioni in cui me ne volevo andare, soprattutto nei primi due anni – confida Giacchetta al Dispaccio – Poi mi sono meglio inserito, dimostrando le mie capacità. E ho preferito Reggio Calabria a tutto quello che mi poteva capitare. Come persona, mi sentivo denigrato eccessivamente. Avevo 21 anni quando sono arrivato, le critiche mi avevano fatto male. Ma volevo dimostrare, più che scappare. Ringrazio la Reggina per avermi concesso l’opportunità. La conquista della Serie A arriva attraverso un cammino difficile”.
Solo Giacchetta può sapere se esiste ancora qualche aneddoto mai uscito fuori, circa la prima storica promozione in A della Reggina datata 13 giugno 1999: “E’ stato un percorso da Reggina. Mai dritto, ma sempre pieno di colpi di scena. Con scelte che sul momento sembrano clamorosamente sbagliate, ma che alla distanza si rivelano corrette. Sull’annata ’98-’99 si possono dire tanti aneddoti. All’inizio eravamo terzultimi, sembrava un campionato di sofferenza. L’arrivo di Artico è coinciso con una risalita mostruosa in classifica, nonostante abbia esordito a Treviso con una sconfitta nonostante la sua doppietta. Gustinetti era in bilico, ma vincemmo 3-1 contro la Reggiana. Da lì partì una rincorsa senza obiettivo, ma solo con la voglia di dimostrare. I crocevia li abbiamo affrontati nel modo migliore. Ci siamo rimasti male per l’esonero di Gustinetti”.
Il capitano ricorda certi momenti di tensione come fossero avvenuti ieri: “Eravamo in ritiro a Gallico. Il giorno prima della partita successiva all’esonero di Gustinetti, vennero a parlarmi alcuni tifosi. Il faccia a faccia è avvenuto in hotel, mi ritenevano il maggiore responsabile del gruppo. Erano dispiaciuti per Gustinetti. Poi a Reggio c’era il retropensiero sulla volontà di non salire in A. Facemmo 0-0 con l’Atalanta, quando mancavano 6 partite alla fine. Il loro attaccante, Caccia, prese un palo. Come capitano, venni chiamato a metterci la faccia. Poi vennero risultati straordinari, con vittorie esterne clamorose come il derby a Cosenza. Quella partita, assieme alle trasferte vittoriose di Brescia, Pescara e Torino, è nella storia”.
A quel punto, nella mente dell’attuale direttore sportivo della Cremonese si focalizzano solo le immagini del trionfo: “Sull’aereo ballavamo e piangevamo, c’era un mix di emozioni. Poi abbiamo visto quella marea di gente ad attenderci sulla pista dell’aeroporto. Non ci sembrava vero – rammenta Simone Giacchetta – Il pullman che dall’aeroporto doveva condurci a Pentimele, ci impiegò non so quante ore. Ovazioni, abbracci: ci siamo sentiti un tutt’uno con i tifosi. Reggio Calabria ci ha fatto sentire dei Superman”.
Inevitabile un pensiero per il mister Bruno Bolchi: “Bolchi ha rappresentato una colonna su cui appoggiarci, in quei momenti di difficoltà. Il sogno di andare in Serie A ci stava scivolando di mano, con risultati non in linea. La figura anche fisica di Bolchi, ti imprimeva sicurezza e rispetto. La sua enorme esperienza del campionato di Serie B, ha fatto sì che ci affidassimo a lui al 100%. Con la sua flemma, ci ha trasmesso la serenità necessaria per compiere il miracolo amaranto. Ci riempiva d’orgoglio andare in giro per l’Italia, e vedere un gruppetto di tifosi essere diventato una marea. La promozione in Serie A, te la ricordi più per l’invasione di campo che per le partite vinte. Auguro alle nuove generazioni di rivivere presto quell’emozione”.