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Martedì torna PRO.S.A al Teatro Politeama di Catanzaro: “Conta che passa la pazza” con Irma Ciaramella

Prosegue al Teatro Politeama di Catanzaro il progetto PRO.S.A. Professionisti Spettacolo Associati, promosso nell’ambito dei Programmi di distribuzione teatrale, Rete di teatri, con il sostegno della Regione Calabria. Martedì 26 marzo, alle ore 21, sarà la volta di “Conta che passa la pazza”,  atto unico di Irma Ciaramella, con la regia, l’allestimento scenico e la musica di Francesco Maria Cordella, spettacolo prodotto da ACTS – Associazione Culturale Top Spin attiva in campo culturale da tanti anni sul territorio di Ponza.

Sul palco una donna, ingabbiata in una crinolina dal sapore ottocentesco, è in azione in uno spazio, fuori dal tempo, delimitato da tre punti cardinali, raffigurati da tre oggetti simbolici: una caffettiera, una pentola e un coperchio che parlano, nonostante abbia più volte provato a zittirli. La donna non ha nome. Non lo ricorda. E’ lì, nel luogo in cui aspetterà, invano, che qualcuno la riporti a casa. Ma ha fatto calcoli sbagliati, ha dimenticato le virgole e, come spesso succede nelle equazioni, una virgola sbagliata conduce al risultato sbagliato. Si è svestita del ‘troppo’, ma non è ancora libera dal rumore assordante dei suoi pensieri inceppati che le richiamano alla mente ricordi a volte dolorosi. Solo nel gioco, nell’approccio ironico e gioioso, riuscirà ad immaginarsi nuova e desiderosa di ricominciare.

Nelle note di regia, Cordella scrive: “Il sistema mediatico ha prodotto mezzi che hanno generato spazi e luoghi fasulli in cui è stato modificato il significato dei valori etici, estetici e morali su cui una società evoluta dovrebbe basarsi. Questo ha prodotto spaesamento e disorientamento. Le persone hanno perso improvvisamente il loro radicamento e di conseguenza la memoria, patrimonio necessario di una comunità matura. I più fragili, i più sensibili si sono “rifugiati” in patologie come depressione, demenza, Alzheimer. Ho inteso ricercare una forma che potesse ricreare uno spazio in cui, ricordare e rappresentare si fondessero in una visione della realtà non convenzionale. Astraendo il concetto di tempo, affinché la condizione patologica di chi si sente diverso, escluso, perduto o abbandonato potesse essere sublimata attraverso l’inclusione in una dimensione poetica che solo l’arte può offrire”.

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