Perché gli antichi greci non ci hanno insegnato nulla sul senso della morte

teganoarresto500di Claudio Cordova - C'è un imbarbarimento culturale e un livellamento del dibattito (verso il basso, evidentemente) che lascia sgomenti. Ogni evento, anche il più "banale" è l'occasione per ricordarcelo. L'ultimo è la morte del boss di 'ndrangheta Giovanni Tegano la successiva messa in suffragio, per il trigesimo della dipartita.

E' oltremodo stucchevole il dibattito (per usare un termine benevolo) scaturito dal blitz, peraltro finito male, del massmediologo Klaus Davi alla messa celebratasi presso la Cattedrale negli scorsi giorni (leggi qui). In una terra priva di intellettuali, quando si parla di 'ndrangheta, non si riesce ad andare oltre la sciocca lite manichea tra le posizioni giustificazioniste del fenomeno 'ndranghetista, che, dietro un peloso senso di garantismo, tirano la volata alle logiche culturali mafiose. E la visione "gratteriana", che vorrebbe riaprire e spedire chiunque all'Asinara anche per il furto di una mela.

E, però, per problemi complessi servono ragionamenti complessi. Altrimenti si diventa moralmente anglosassoni. E questo non è bello.

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Siamo greci, invece. Anche se ciò che magistralmente hanno scritto autori e filosofi antichi non ci ha insegnato nulla. A cominciare dal senso della morte. Pensiamo di poterci lavare la coscienza di città, Reggio Calabria, e territorio, la Calabria, profondamente 'ndranghetistici (almeno sotto il profilo culturale) vendicandoci sui boss piccoli e grandi, quando sono morti.

Invece non è così. Si può essere fermamente antagonisti, direi nemici, delle logiche materiali e culturali della 'ndrangheta anche e soprattutto rimarcando le differenze tra "noi" e "loro". Personalmente penso che Tegano, ma anche De Stefano, Condello, Libri, Piromalli, Pesce, Pelle, Nirta o Mancuso e Grande Aracri, dovrebbero, in vita, oggi, chiedere scusa ogni giorno (e due volte la domenica) per anni di omicidi, furti e stupri del territorio.

Sono costoro che ci stanno condannando all'arretratezza. Sono costoro che hanno disgregato le nostre comunità.

A loro, tutto ciò, va ricordato quando sono vivi ed esercitano potere. Non quando sono chiusi una cassa di legno. Quello non è coraggio, né dignità. E' barbarie. E ci dimostra la nostra viltà e ignoranza. Pensare di eliminare o nascondere l'evidente prestigio e consenso sociale di cui goda la 'ndrangheta "per decreto", è qualcosa da sciocchi. Per questo, il divieto, tuttora vigente e ampiamente applicato, di far svolgere i funerali in forma pubblica ai vari boss che, ciclicamente, salutano il mondo mortale, è qualcosa di vigliacco.

Ci impedisce soltanto di metterci davanti agli occhi quello che accadrebbe: moltitudini di persone che renderebbero omaggio al capobastone. Perché – e chi lo nega o è un imbecille o è in malafede – il territorio continua a "tifare", attivamente o passivamente per la 'ndrangheta. Ed è questo il problema. Il consenso sociale di cui è ancora forte la 'ndrangheta non può essere contrastato con forme muscolari e militari.

Nella Grecia antica, dare sepoltura ai morti era uno dei supremi doveri dei vivi che rispettavano le leggi degli dèi. Si fermavano le guerre per ripulire i corpi e dar loro le monete che servivano per il traghettatore delle anime nell'oltretomba. Qui lo si vorrebbe lasciare in pasto a cani e uccelli. Senza comprendere che, così, tradiamo, ancora una volta, la nostra civiltà. E, soprattutto, dimostriamo a queste persone di avere un grande potere intimidatorio su di noi. 

L'Antigone di Sofocle (per chi l'ha letta) non ha insegnato nulla. Creonte re di Tebe con poteri assoluti proibisce (per decreto, appunto) la sepoltura di Polinice perché questi si era alleato con la città rivale. L'ordine è di lasciare il corpo dell'uomo in pasto ai cani. Decide di punire con la morte chiunque disobbedisca al suo volere e seppellisca Polinice. Antigone non può accettare questo per il fratello e, sola, lo seppellisce. Accusa Creonte di essersi posto ereticamente al di sopra degli dei: perché il rito funebre va concesso a tutti gli uomini. Antigone viene condannata a morte. Ma anche il destino che attende Creonte, per aver offeso gli dei, non sarà fulgido.

Ed è esattamente questo ciò che ci aspetta se non reagiamo, per tempo, allo strapotere 'ndranghetista. Ma ci accaniamo su boss quando sono morti. Dimostra, ancora una volta, ristrettezza mentale chi critica il blitz di Klaus Davi, talvolta con argomenti risibili e pretestuosi. Il divieto, per esempio, di girare immagini all'interno della chiesa. Un divieto di cui la popolazione se ne infischia, quando gira vere e proprie pellicole sulla processione del quadro della Madonna della Consolazione o scatta dei selfie all'interno delle chiese, in occasioni varie.

Quel blitz di Klaus Davi, invece, ci dimostra che per un Giovanni Tegano che scompare, vi sono numerosi affiliati pronti a continuare la sua opera. Ed è contro quelli che ci si deve schierare. Oggi, non quando, come tutti, moriranno.

E c'è chi si chiede chi abbia dato l'autorizzazione per celebrare la messa per il trigesimo del boss. E qualcuno è pure d'accordo. La nota di Libera, spesso silente davanti a quasi tutto e ancor più spesso stampella del potere, è qualcosa di una violenza inaudita. Pura barbarie. E non perché la Chiesa reggina non abbia, negli anni, strizzato l'occhio al potere 'ndranghetista. Ma perché Tegano e quelli come lui vanno combattuti quando sono in vita. Quando spadroneggiano per le strade e nei palazzi del potere.

Non oggi, che è morto dopo una lunga detenzione. E' questa la grande differenza tra "noi" e "loro" che dobbiamo tutelare e salvaguardare. E anche questo scritto, che, proprio per il livellamento verso il basso delle argomentazioni, passerà come un spot pro-'ndrangheta, lo tengo prezioso accanto a me. Perché, come diceva Qualcuno, non scrivo per cambiare gli altri. Ma affinché gli altri non cambino me.