di Claudio Cordova – La storia ci ha detto quali fossero (almeno in parte) i motivi che spinsero Luca Gallo ad acquistare la Reggina. Forse un giorno sapremo anche cosa ha spinto Felice Saladini a rilevare la società, quale fosse la necessità di un garante (garante di cosa, poi?) come Marcello Cardona.
Tanto nei confronti dell’eroe Gallo, quanto dell’imprenditore illuminato Saladini, Il Dispaccio ha fatto quello che dovrebbe fare l’informazione. L’ho fatto in prima persona con Gallo, stupefatto dalla circostanza di come fosse ovvia la conclusione del percorso, e di come, a fronte di questa ovvietà, si continuasse a idolatrarlo. Lo ha fatto il collega Paolo Ficara per Saladini & co., attirandosi per settimane e mesi, insulti, scherno e molto altro da parte di sottospecie di ominidi sui social. Molti dei quali in forma anonima. Perché il coraggio, come diceva Manzoni, o ce l’hai o non ce l’hai.
Ma oggi si sta compiendo tutto quello che, da tempo, raccontiamo. Con dati e documenti alla mano. Anche questa volta, in solitaria. Ma meglio soli che male accompagnati.
Le modalità che hanno portato alla fine sono diverse, ma la fine quasi la stessa: Gallo, dagli arresti domiciliari, aveva lasciato la Reggina sull’orlo del baratro, Saladini, dopo scelte tecniche e societarie a dir poco discutibili, lascia con una squadra la cui iscrizione al prossimo campionato di serie B è ancora incerta.
Oggi come allora, una classe politica, culturale, sociale e giornalistica che non ha saputo in alcun modo creare un contraltare dialettico e narrativo di fronte a quanto si stava materializzando, ancora una volta, con palmare evidenza, con una evidente propaganda di regime.
Reggio Calabria è la città dei nani e delle ballerine. Non da oggi.
Si è continuato a credere alle rassicurazioni che arrivavano dalla società, si continuava a credere a frasi e concetti che, oggettivamente, avevano un po’ di grottesco e tragicomico come il “non ci hanno fatto pagare” di Marcello Cardona, con riferimento alla vicenda stipendi, che poi porterà alla penalizzazione. Un giorno il presidente dimissionario ci dirà chi lo ha coinvolto in questa sicuramente stimolante avventura. Per adesso giochiamo a “Indovina chi?” (Ha i capelli? Non ha i capelli? Ha fatto politica? Non ha fatto politica? E’ un reggino? Vive in città o fuori città?).
E oggi c’è da chiedersi se si possa credere a quanto sostenuto dalla nota della proprietà che, mettendo in vendita la società, parla, di fatto, di messa in sicurezza dei conti, di risanamento, dipingendo la Reggina come se fosse un fiore all’occhiello, quando anni di scelte sbagliate del ds Massimo Taibi (il cui sedere rimane ben incollato alla poltrona) hanno portato in riva allo Stretto giocatori (anzi, ex giocatori) in là con gli anni, che non rappresentano un patrimonio per la società, ma solo un importante costo in termini di ingaggio.
Il calcio e lo sport dovrebbero essere gioia. Ma la verità è che, da anni, attorno alla Reggina c’è un clima nauseabondo. Anche solo provare a fare qualche domanda, di tipo tecnico o di tipo societario, comporta essere insultati, essere additati come servi di questo o di quello. Ma, alla fine, dagli ultras te lo aspetti. Non lo nascondo, provo anche un certo fastidio per il fatto che il voto di uno di costoro valga quanto il mio. Sono gli stessi che hanno osannato Gallo (qualcuno lo fa ancora), che hanno creduto al mecenatismo di Saladini e alla sua storia di ricchezza creata con “Gratta & Vinci”, lotterie o cos’altro, che credono al fatto che l’imprenditore Bertarelli possa essere interessato, in prima persona, alla Reggina. Persone così che spirito critico e sociale possono avere?
Da quelle scimmie che rispondono alla categoria ultras, allora ce lo si può aspettare. Ma è sconfortante come una situazione che ormai va avanti da mesi, possa essersi perpetrata senza che si alzasse una voce stonata da parte della politica e dei commentatori, sempre pronti a prestare la propria lingua, almeno finché la barca non affonda. Si continua a essere come gli indigeni scoperti da Cristoforo Colombo nei suoi viaggi: sedotti, anzi, comprati con qualche frutto o con qualcosa di luccicante e di poco valore.
E, ancora una volta, oggi, si resta in ansia per capire quale sarà il destino della Reggina che – e questo è vero – è qualcosa in più di una semplice squadra. A Reggio Calabria più che altrove. Non solo per la storia che conosciamo tutti e che ricordiamo con grande malinconia. Ma anche per quello che è il momento storico che vive la città, tra i più depressi che si ricordino dai tempi della seconda guerra di ‘ndrangheta e dello scandalo delle mazzette politiche.
Una squadra competitiva, infatti, aiuterebbe a rianimare il tessuto sociale cittadino, a dare un po’ di felicità a una città che, anche nella stagione estiva, sprizza tristezza da tutti i suoi angoli. Aiuterebbe a far girare un po’ di più l’economia, spesso infiltrata dalla ‘ndrangheta, ma a volte affossata dalle scelte di chi governa. Forse aiuterebbe anche a dare qualche mese di vita in più all’aeroporto, dato che l’imbelle politica locale non ne è capace.
Ma, dicevamo, siamo alle solite. Si sogna Ernesto Bertarelli come si sognava Vincenzino Scifo anni fa. In 25 anni non si è fatto nemmeno un passo avanti per uscire dal provincialismo. Si aspetta l’imprenditore piemontese con interessi in Svizzera che sembra un po’ il film cecoslovacco con sottotitoli in tedesco di fantozziana memoria. Questo perché il tessuto economico cittadino, da anni, non riesce a esprimere una figura imprenditoriale che possa avere le risorse e la voglia di investire in qualcosa che – è vero e lo ribadiamo – è molto più di una squadra di calcio.
Dopo Lillo Foti (a proposito, siamo stati duri, durissimi, anche con lui) il nulla. Dove sono i Versace? Dove sono i Capua? Dove sono i Montesano? Dove sono i Mauro? Dove sono i Silipo? Dove sono i Mucciola?
La verità è che la Reggina sarà sempre in difficoltà, perché è in difficoltà la città. Aver trattato, in questi anni, Reggio Calabria come un piccolo paese dell’entroterra, porta a tutto ciò. E tutto ciò ha motivazioni, anzi, colpe, ben precise, che sono politiche. Il decennio targato Falcomatà & co. non ha fatto altro che far fare decine di passi indietro a una città che (dati di inizio 2023) è la 21esima città d’Italia per popolazione, ma che continua ad essere amministrata e a comportarsi come un paesino di poche anime. Basti vedere i comunicati che partono dall’ufficio stampa di Palazzo San Giorgio, che se non si conoscesse il mittente, sembrerebbe si occupassero di Canolo o Varapodio, con tutto il rispetto.
Senza una visione, senza un dibattito, il cui tema più caldo, in questo momento, è il rifacimento di una piazza…
E così, si assiste all’ennesima estate di passione, nell’attesa di avere un nuovo idolo, qualcuno che arrivi in città non con un progetto, ma per rimanere, al massimo, un paio di stagioni, lasciando poi dietro di sé macerie e tante domande sul perché, da alcuni anni a questa parte, Reggio Calabria sia terreno fertile per questo tipo di operazioni.
Che sia un politico, che sia il proprietario di una squadra di calcio, trattarlo come un sovrano, come qualcuno da non contraddire, anzi, da difendere, anche di fronte all’evidenza, porta ai disastri che la città conosce bene. Tanto nella politica, quanto nello sport, governare e imperare senza i fondamentali contrappesi che dovrebbe dare l’opinione pubblica, accade in pochi luoghi. Uno di questi è Reggio Calabria, dove non esistono cittadini, non esistono tifosi, ma solo sudditi e servi sciocchi.