Omicidio Filianoti: gli inquirenti delineano il contesto del delitto

filianoti giovanni correttadi Claudio Cordova - Il nome di Paolo Schimizzi i sostituti procuratori della Dda di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo e Antonio De Bernardo lo hanno fatto a diverse delle persone interrogate, negli ultimi mesi, nell'ambito dell'inchiesta per far luce sull'omicidio dell'agente generale della INA Assitalia, Giovanni Filianoti, assassinato nella serata dell'1 febbraio 2008 proprio mentre rincasava, nella propria abitazione posta a poche centinaia di metri dagli Ospedali Riuniti.

Oltre che sugli esecutori materiali del delitto – realizzato con le classiche modalità mafiose – gli investigatori stanno cercando di ricostruire il contesto in cui potrebbe essere maturato l'omicidio. Un contesto assai effervescente, quello del 2008 reggino: il 18 febbraio, appena diciassette giorni dopo l'omicidio Filianoti, il Ros dei Carabinieri arresterà il superboss Pasquale Condello, latitante da decenni; appena una settimana dopo, la cosca Tegano farà saltare in aria il bar Malavenda, a Santa Caterina, gestito da una famiglia storica nell'imprenditoria reggina, colpevole di uno "sgarro" riguardante i lavori di ristrutturazione del locale; passeranno alcuni mesi e a settembre scomparirà Paolo Schimizzi, che dei Tegano è in quel momento uno degli elementi più carismatici, essendone considerato proprio il reggente; da ultimo, a dicembre, un altro grande boss, Peppe De Stefano, capo indiscusso dell'omonima cosca, verrà ammanettato dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria che porrà fine alla sua latitanza.

E' un anno intenso il 2008 e il delitto di Giovanni Filianoti, da sempre ritenuto un "omicidio eccellente" potrebbe incastrarsi proprio tra i diversi "eventi" criminali che ridisegneranno alcuni dei contesti più oscuri della città. Le indagini sull'omicidio – che da qualche mese hanno ripreso slancio – non stanno escludendo nessuno dei tanti ambiti in cui Filianoti si sarebbe mosso: da quello assicurativo, passando a quello immobiliare e dell'attività edilizia, portata avanti dalla vittima in società con l'ingegnere Michelangelo Tibaldi, attraverso la società Gi.Mi.

I pm Lombardo e De Bernardo, anche attraverso gli interrogatori di diverse persone che avrebbero gravitato attorno all'universo Filianoti, stanno cercando di mettere in fila le relazioni che l'uomo avrebbe mantenuto con una serie di imprenditori piuttosto noti in città: da quelli presenti nella Immobiliare Otto, la società proprietaria dell'immobile dove ha sede il Reparto Mobile della Questura di Reggio Calabria, a quelli interessati alla costruzione di un centro commerciale nella zona di San Giorgio Extra, fino a Tibaldi, appunto, e Pino Rechichi, l'ex direttore operativo della Multiservizi, la società mista del Comune di Reggio Calabria sciolta per infiltrazioni mafiose. Sia a Tibaldi che a Rechichi, secondo quanto raccolto in queste settimane dai pm, Filianoti avrebbe prestato delle somme di denaro che, comunque, sarebbero state totalmente restituite dai due.

Ma le indagini sull'omicidio – non facili, a distanza di oltre cinque anni dal fatto di sangue – stanno cercando anche di mettere in correlazione una serie di eventi, in cui uno dei tasselli potrebbe essere rappresentato proprio dalle dinamiche che ruotano attorno all'attività e alla scomparsa di Paolo Schimizzi, un personaggio di grandissimo spessore all'interno della cosca Tegano. Dell'uomo si perderanno le tracce nel settembre 2008, per un caso di "lupara bianca" tutt'oggi avvolto nel mistero. Sulla scomparsa, infatti, verranno fatte diverse ipotesi, che si orienteranno su un presunto "sgarro" che l'uomo avrebbe fatto alla famiglia di appartenenza con riferimento alle questioni economiche. Uno "sgarro" così grave per il quale avrebbe potuto pagare con la vita.

Una scomparsa misteriosa, così come è misteriosa l'uccisione di Filianoti, su cui, al momento, anche i collaboratori di giustizia non hanno saputo fornire particolari indicazioni. Indagini in bilico, dunque, ma che, in un certo senso, sembrano aver imboccato alcune vie (tra loro intrecciate) e piuttosto interessanti.

Tante le persone sentite dai pm antimafia. Tra gli altri anche il figlio di Giovanni Filianoti, che, chiamato a testimoniare nel procedimento "Archi-Astrea", che vede alla sbarra il clan Tegano, effettuerà, a domande dell'avvocato Lorenzo Gatto e del pubblico ministero Giuseppe Lombardo, una parziale discovery dell'incontro avuto in Procura. Un interrogatorio in cui Walter Filianoti verrà sentito sia con riferimento al delitto del padre, sia all'intimidazione subita nei primi mesi 2011, allorquando davanti a un garage di sua proprietà verrà posta (e ritrovata) una tanica di benzina. Proprio in questo contesto si collocano i riferimenti che Filianoti junior fa alla famiglia Lavilla, che secondo la Dda di Reggio Calabria sarebbe un nucleo di persone assai vicino alla cosca Tegano, anche in virtù della parentela di Antonio Lavilla, sposato con la figlia del mammasantissima Giovanni Tegano.

Rapporti, quelli tra la famiglia Filianoti e la famiglia Lavilla che sarebbero assai datati nel tempo, da circa trent'anni, secondo quanto riferito da Walter Filianoti e secondo quanto sottolineato dall'avvocato Gatto (difensore dei Lavilla) che esibirà una foto di Giovanni Filianoti e Giuseppe Lavilla, padre di Antonio e Maurizio Lavilla. Un rapporto personale, ma anche lavorativo, tramite la ditta edile della famiglia Lavilla: "La maggior parte dei lavori che ha fatto mio padre li ha fatti con la ditta Lavilla. Hanno fatto un immobile in via Tagliavia; poi varie ristrutturazioni; una grossa ristrutturazione in via Fata Morgana. Diciamo quasi tutti li faceva la famiglia Lavilla" dirà Walter Filianoti. Un rapporto di lavoro che, nell'immaginario di Filianoti junior non avrebbe dovuto e potuto creare problemi di alcun tipo alla sua famiglia: "Non mi sono mai posto questo problema, anche perché loro già lavoravano prima che io prendessi in mano le redini" dice.

Ma il destino della famiglia Filianoti si intreccerebbe con quello dei Lavilla anche con riferimento a un terreno nella zona di Pentimele, che Giovanni Filianoti avrebbe cercato di acquistare prima di essere ucciso, versando anche un acconto di 600mila euro. Un acquisto che Filianoti junior spiegherà di non poter portare a termine dopo la morte del padre, ma di aver risolto solo ed esclusivamente grazie al proprio avvocato. La famiglia Filianoti, insieme a Michelangelo Tibaldi, che era socio di Giovanni Filianoti, riuscirà a ottenere – in maniera tutto sommato semplice – la restituzione dell'intera somma, comprensiva degli interessi.

Ma proprio in questo affare entrerebbero i Lavilla, che il collaboratore di giustizia Roberto Moio, nipote del superboss Giovanni Tegano, colloca in stretta correlazione con il clan di Archi e in particolare con il gruppo che, fino alla scomparsa, avrebbe fatto riferimento proprio a Paolo Schimizzi. Nonostante il fatto sia di quelli di rilievo, Filianoti junior avrà bisogno degli input del pm Giuseppe Lombardo per ricordare i comportamenti di Antonio Lavilla, dopo il buon esito dell'affare: "Mi ha detto che la transazione era stata possibile attraverso l'intervento di alcuni amici, di cui non mi ha fatto il nome. Che sarebbe stato opportuno che mi curassi di ringraziarli con un pensiero".

"Amici" di cui Filianoti non saprà indicare né identità, né, inoltre, il contesto: "Io gli ho risposto che io non ho chiesto niente a nessuno e che non devo dare niente a nessuno". A chiedere il "ringraziamento", però, sarebbe stato Antonio Lavilla, che di Giovanni Tegano è il genero, come affermerà lo stesso Walter Filianoti. Una parentela che, nonostante gli sforzi del pm Lombardo, Filianoti affermerà di non aver messo in correlazione con la frase: "Non ho inteso che voleva dire tra amici, io ho risposto che io non ho chiesto niente e che non dovevo dare niente. Non sono andato al di là della risposta; o non ho capito che cosa intendeva lui, o se era un consiglio, non lo so. Non sono andato avanti".

Dopo il primo rifiuto, a detta di Filianoti junior, si collocherebbe l'episodio della tanica, dopo del quale vi sarebbero stati due colloqui con Antonio Lavilla: "Mi ha fatto cenno al ritrovamento della bottiglia, dicendomi che avrei dovuto parlarne con lui. Mi disse cose del tipo "Ma che cosa hai fatto? Che hai scritto sui giornali? Perché non mi hai detto niente per andare a parlare e vedere?" dirà Filianoti raccontando il primo dei due incontri. Poi, facendo riferimento al secondo incontro: "L'ho visto poi un'altra volta sempre presso il garage successivamente alla sua scarcerazione. Che in
quella occasione commentò con le parole "Male non fare, paura non avere".  Una frase, quest'ultima, che Filianoti si affretterà a riferire alla situazione dello stesso Lavilla, da poco scarcerato dopo un periodo di detenzione.

In ogni caso, Walter Filianoti negherà di aver sentito attorno a sé il "respiro della 'ndrangheta". Quel respiro della 'ndrangheta che potrebbe aver ordinato (ed eseguito) l'omicidio di Giovanni Filianoti. Quel respiro su cui da mesi i pm Lombardo e De Bernardo stanno lavorando, anche con le domande riguardanti Paolo Schimizzi.

Per ricostruire quel 2008, che con i suoi tanti fatti avrebbe mosso diversi tasselli negli scenari delle cosche.