di Paolo Ficara – Ogni tifoso della Reggina si ricorda dov’era, con chi era e cosa stava facendo il 13 giugno del 1999. Ma se forse c’è un momento di poco antecedente – a prescindere se ci si rammenti il giorno esatto – di cui si conservano medesime sensazioni, risale a circa un mese prima. Quando il presidente Lillo Foti, con la squadra reduce dalla debacle di Verona (3-0 dal Chievo) e sesta in Serie B a sei giornate dal termine, decide di esonerare Elio Gustinetti per affidarsi all’esperienza di Bruno Bolchi.
A livello di popolo, il “ma che stanno combinando?” di quel 5 maggio lasciò il posto all’ancora più laconico “tanto sapevano già come sarebbe andata a finire”.
Ancora in attesa di beccare una diceria popolare che si riveli esatta, Reggio piange oggi Bruno Bolchi, spentosi all’età di 82 anni a Firenze dopo aver lottato contro un cancro. Il tecnico che con quei tre pareggi interni (Atalanta, Genoa e Ternana) e soprattutto tre vittorie esterne una più magica dell’altra (a Cosenza, Pescara e Torino) è stato l’ostetrico di un parto durato 85 anni.
“L’uomo giusto al posto giusto nel momento giusto” è invece la frase, pronunciata dal direttore Gabriele Martino, che diede il giusto risalto alla presenza in panchina di Bolchi per quelle sei partite. Lo disse subito dopo il triplice fischio al Delle Alpi. Ma se esiste un commento che rende ancora di più l’idea dell’apporto dato dal tecnico milanese a quella Reggina, appartiene a chi si sarebbe seduto sulla stessa panchina – ma in una categoria superiore – a distanza di pochi anni.
Due settimane prima di quell’indimenticabile 13 giugno 1999, la Reggina va a Pescara di fatto a giocarsi uno spareggio promozione. Gli abruzzesi, nel primo tempo, usufruiscono di un rigore per via di un fallo di Maurizio Poli. Il nostro numero 3 prega che quell’errore non pesi come un macigno sulla sua comunque irripetibile carriera in maglia amaranto, lassù qualcuno gli vuole bene: Michele Gelsi calcia a lato, non gli era mai accaduto in carriera.
Nella ripresa, gli amaranto passano grazie ad uno slalom insistito di Davide Possanzini e ad una deviazione di Jury Cannarsa su sventola di Fabio Firmani. Al termine è palpabile l’amarezza di Luigi De Canio, allenatore dei padroni di casa, il quale ammette: “Vorrei sapere cosa ha detto Bolchi ai suoi, all’intervallo”.
Probabilmente, in quella ammissione del giovane tecnico poi protagonista a Reggio di una brillante salvezza in Serie A tramite spareggio, ci sta tutta la differenza del mondo. Che in quel frangente consentì alla Reggina, anche grazie all’esperienza usata da Bruno Bolchi all’intervallo dopo un dominio del Pescara nei primi 45 minuti, di andare dritti nel paradiso del calcio italiano.
Oggi in paradiso ci vola Maciste, soprannome coniato per lui da Gianni Brera ai tempi in cui giocava nell’Inter. Già, perché al di là dei trascorsi sulla sponda calabrese dello Stretto – succedette a Nevio Scala, piazzandosi sesto in B nel 1990 – la carriera di Bruno Bolchi è lunghissima prima da calciatore e poi da allenatore. Come centrocampista dell’Inter, ha avuto il privilegio di essere il primo a dare il volto alle figurine Panini. Da allenatore, quella del 1999 è stata la sua personale quarta promozione in Serie A. Quando l’esperienza fa la differenza. Ciao mister.