La ‘ndrangheta tra tradizione e modernita’.
Da un lato i metodi arcaici e violenti, esemplificati nelle armi da guerra usati per una strage efferata, dall’altro la capacita’ di proiettarsi oltre i confini della Calabria per espandersi in mezza Italia e in Europa. Erano queste le dinamiche che muovevano il “locale” di Ariola, cosca attiva nelle Preserre della provincia di Vibo Valentia, disarticolata oggi da un blitz dei carabinieri coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. Dinamiche delineate in una conferenza stampa nella sede della Procura di Catanzaro dal procuratore facente funzioni Vincenzo Capomolla e dai vertici dell’Arma dei carabinieri tra cui il vicecomandante generale del Ros Gianluca Valerio e il comandante provinciale dell’Arma di Vibo Valentia Luca Toti. Nel mirino degli investigatori, in particolare, la ‘ndrina Maiolo, il cui baricentro di azione e’ stato individuato storicamente in una vasta area montana che comprende diversi Comuni tra cui Gerocarne ed Acquaro: l’operazione dei carabinieri ha ricostruito l’assetto di comando ma anche quello “militare” di questa cosca, che si era imposta sul territorio a suon di attentati e di agguati, come quello che nell’ottobre del 2003 porto’ all’uccisione, con 14 colpi di calibro 12, di tre persone in quella che e’ passata agli annali come la “strage di Ariola”, per la quale oggi i militari dell’Arma hanno arrestato mandanti ed esecutori.
Un delitto maturato in un contesto criminale nel quale – secondo gli inquirenti – la cosca Maiolo era pienamente inserita, alla pari di tutte le principali consorterie di ‘ndrangheta del Vibonese. Ma dalle campagne dell’entroterra calabrese il sodalizio e’ partita l’evoluzione del sodalizio ‘ndranghetista, che si e’ via via ramificato anche in altre realta’ italiane, in particolare l’Abruzzo e il Piemonte, ed estere, in particolare la Svizzera, territori che – e’ stato spiegato in conferenza stampa – la cosca Maiolo ha progressivamente infiltrato attraverso la creazione di societa’ che apparentemente pubblicizzavano il “brand” Calabria, con i prodotti calabresi d’eccellenza in campo agroalimentare ma che in realta’ erano “lavatrici” per il riciclaggio dei proventi degli affari come il narcotraffico e le estorsioni. Un salto di qualita’ evidente soprattutto in Abruzzo, al punto che una parte consistente dell’indagine e’ partita da L’Aquila, un salto di qualita’ favorito dall’insediamento in terra abruzzese di esponenti della ‘ndrina che per anni erano stati detenuti negli istituti penitenziari del posto.
Da qui il trampolino di lancio anche in altre regioni come il Piemonte e in Svizzera soprattutto: “Una straordinaria capacita’ di muoversi sfruttando le tante connessioni che erano in grado di mettere in campo”, hanno spiegato gli inquirenti in conferenza stampa. Il “cuore” della cosca Maiolo comunque restava in Calabria, nell’entroterra montano delle Preserre vibonesi dove il sodalizio imponeva il proprio dominio con la violenza e la sopraffazione, come dimostra la cruenta spedizione punitiva contro un ragazzo ridotto quasi in fin di vita per uno sguardo di troppo a un esponente del clan. Un dominio che la cosca aveva assunto oltre 20 anni fa con la “strage di Ariola” “, l’uccisione a colpi di fucile calibro 12 dei cugini Giovanni e Francesco Gallace, di 41 e 27 anni, titolari di un’impresa di movimento terra, e un loro dipendente, Stefano Barillaro, di 24: un’azione di guerra per marcare il territorio al fondo di una faida sanguinosissima.