di Claudio Cordova – Dopo oltre vent’anni di detenzione, era tornato a Gioia Tauro. E l’aveva trovata com’era prima: “sua”. Disposta ad accondiscendere a ogni sua richiesta: dalle estorsioni, alle aste da condizionare, persino alla classe da spostare, perché disagevole per una sua stretta parente. Mai come oggi, il nome tipico dell’operazione, “Res Tauro”, appare azzeccato. Pino Piromalli era tornato in libertà e aveva riorganizzato la sua famiglia che, da sempre, a Gioia Tauro controlla ogni respiro. Attraverso nuove regole, attraverso la violenza, mettendosi il “manto del lupo”, come dice in una conversazione intercettata dai carabinieri del Ros, che oggi hanno riportato dietro le sbarre l’anziano, ma combattivo boss “Facciazza”.
Sono in tutto i 26 soggetti, indagati a vario titolo di associazione di tipo mafioso, estorsione, riciclaggio, autoriciclaggio, detenzione illegale di armi e munizioni, turbata libertà degli incanti, favoreggiamento personale, trasferimento fraudolento di valori, aggravati dal metodo mafioso, nonché di reati in materia di armi. L’indagine – avviata nel 2020 – ha ad oggetto la ricostruzione degli attuali assetti della cosca. Figure apicali, “Facciazza”, oggi 80enne, ma anche i fratelli Gioacchino e Antonio.
22 anni consecutivi di carcere, dunque, non hanno fiaccato la leadership di Piromalli. Scarcerato a metà 2021, avrebbe quindi ripreso le redini della cosca ridefinendo i ruoli e compiti degli associati, riaffermando il suo potere sul territorio attraverso una costante pressione estorsiva ai danni di imprenditori ed operatori commerciali nonché attraverso l’alterazione delle aste giudiziarie mediante l’inquinamento delle relative procedure di vendita, al fine di acquisire beni d’interesse della cosca stessa, di rientrare in possesso di beni già confiscati, oppure, di ricevere denaro e/o altre utilità da terzi intenzionati ad aggiudicarsi la procedura pubblica.
I beni così acquisiti dalla cosca, attraverso articolate operazioni, sarebbero stati intestati fittiziamente a terzi compiacenti col fine di eludere le disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniale. Contestualmente alle misure cautelari personali il ROS ha proceduto all’esecuzione di un sequestro preventivo di urgenza, emesso dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria, retta oggi da Giuseppe Borrelli, di 6 immobili, 16 appezzamenti di terreno, 3 imprese individuali e 2 imprese agricole per un valore stimato di mercato di 3 milioni di euro, ritenuti riconducibili, a vario titolo, a soggetti appartenenti alla cosca.
Parallelamente è stata data esecuzione a due distinte misure di prevenzione patrimoniali – riguardanti beni mobili, immobili, rapporti bancari per un ammontare complessivo di oltre 4 milioni di euro – nei confronti di Pino Piromalli e del suo braccio destro Antonio Zito (e dei rispettivi nuclei familiari).
Un’indagine che, come sottolineato dallo stesso procuratore Borrelli, dimostra l’operatività di uno dei casati storici della ‘ndrangheta reggina. I Piromalli, da oltre cinquant’anni, sono tra le cosche che maggiormente hanno fatto fare il salto di qualità alla ‘ndrangheta, anche e soprattutto, attraverso i legami con imprenditoria e politica. Anche l’indagine “Res Tauro” non è esente, dunque, dalle condotte tipiche della cosca, con gli imprenditori strozzati dalle richieste estorsive e incapaci di mettere in campo qualsivoglia azione di contrasto. Anche il preside di una scuola si sarebbe “inginocchiato” di fronte alle richieste (oppure ordini) di Piromalli, che voleva lo spostamento di plesso di una classe frequentata da una sua parente, ma disagevole da raggiungere.
Sul punto, è intervenuto il procuratore aggiunto Stefano Musolino, responsabile per la Dda delle indagini sulla fascia tirrenica. Musolino ha parlato apertamente di una preoccupante “mollezza del tessuto sociale di Gioia Tauro”, che avrebbe spalancato, nuovamente, le porte al boss Piromalli e alla sua famiglia. In tal senso, Musolino ha strigliato l’Amministrazione Comunale gioiese, invocando una presa di posizione forte contro lo strapotere del clan che controlla la città. “Perché – ha detto Musolino – se Piromalli ha potuto indossare il ‘manto del lupo’ è anche e soprattutto perché davanti a sé a trovato tanti agnelli”.