“Chiunque sia un uomo libero non può starsene a dormire” - Aristofane
HomeCalabriaReggio Calabria"Millennium": 97 misure cautelari sulla 'ndrangheta. Politici e faccendieri coinvolti. Ricostruita l'operatività...

“Millennium”: 97 misure cautelari sulla ‘ndrangheta. Politici e faccendieri coinvolti. Ricostruita l’operatività della “Provincia”

di Claudio Cordova – I nuovi assetti della ‘ndrangheta, l’esistenza attuale l’operatività della Provincia, chiamata a prendere decisioni e dirimere attriti. Il ruolo egemone delle cosche nel narcotraffico internazionale. La capacità, tramite faccendieri, di rastrellare voti e di infiltrare la Pubblica Amministrazione. Sfruttando, come da decenni, la povertà etica ed economica del territorio. C’è tutto questo nell’inchiesta “Millennium”, con cui la Dda di Reggio Calabria torna a colpire con quasi cento misure cautelari, le cosche.

I Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria, con il supporto di reparti specializzati e delle forze territoriali di diverse regioni italiane, hanno dato esecuzione a un’imponente operazione contro la ‘ndrangheta. Il blitz, disposto dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria guidata dal procuratore Giuseppe Lombardo, ha interessato numerose province tra cui Milano, Roma, Torino, Bologna, Agrigento e Nuoro. Il bilancio: 97 persone raggiunte da misure cautelari, 81 delle quali tradotte in carcere e 16 poste ai domiciliari.

L’operazione “Millennium” rappresenta l’epilogo di un’indagine avviata nel 2018, che ha coinvolto i Nuclei Investigativi del Comando Provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria e del Gruppo di Locri, nonché la Sezione Operativa della Compagnia Carabinieri di Locri. L’inchiesta ha accertato l’esistenza di una struttura criminale fortemente unitaria e ramificata, capace di controllare attività illecite su scala internazionale, con epicentro nei tre mandamenti della provincia reggina (tirrenico, ionico e centrale).

Agli indagati vengono contestati, a vario titolo, i reati di associazione mafiosa e concorso esterno in associazione mafiosa, traffico internazionale di stupefacenti, estorsione, sequestro di persona, scambio elettorale politico-mafioso e detenzione illegale di armi.

Le indagini hanno coinvolto alcune delle cosche più influenti del panorama criminale calabrese, tra cui gli Alvaro di Sinopoli e i Barbaro “Castani” di Platì, entrambe con collegamenti anche al nord Italia (Torino e Milano). È stato inoltre disposto il sequestro preventivo di due società, operative nei settori della ristorazione e dell’edilizia, ritenute funzionali alle attività della ‘ndrangheta.

L’inchiesta ha confermato l’operatività della cosiddetta “Provincia”, l’organo direttivo della ‘ndrangheta che coordina i “locali” attivi in Calabria, nel resto d’Italia e anche all’estero. La “Provincia” regola le nomine ai vertici delle cosche, gestisce le controversie interne e autorizza l’apertura di nuove cellule, confermando il grado di coesione e organizzazione dell’intera struttura mafiosa.

“Una struttura che opera in permanenza da un tempo difficile da definire” ha detto il procuratore facente funzioni, Giuseppe Lombardo, che si è soffermato sulla importanza della “Provincia” come organo collegiale: “Non tutte le famiglie hanno il potere di convocare la Provincia” ha aggiunto, sostenendo come anche lo Stato debba muoversi in maniera collegiale per affrontare il fenomeno.

Le cosche attive a Sinopoli, Platì, Locri, Melicucco, Natile di Careri, Volpiano e Buccinasco risultano perfettamente collegate a questo organismo centrale. L’inchiesta, come spiegato da Lombardo, avrebbe consentito di riattualizzare gli assetti delle cosche, l’operatività di storici casati, come quello degli Alvaro di Sinopoli, di individuare i nuovi ruoli di comando. Le attività estorsive erano un’altra fonte sistematica di introiti per le cosche. Gli Alvaro chiedevano la “messa a posto” alle aziende che ottenevano appalti pubblici nel loro territorio o a chiunque volesse aprire un’attività a Sinopoli. I Barbaro, invece, imponevano un contributo del 3% sul valore degli appalti agli imprenditori locali.

Una delle novità investigative più rilevanti riguarda la gestione del traffico internazionale di droga: le cosche avevano creato una vera e propria “impresa unica” sovraordinata ai singoli clan, con il compito esclusivo di gestire l’importazione di cocaina dal Sud America (soprattutto da Colombia, Brasile e Panama) attraverso il porto di Gioia Tauro. Lo stupefacente veniva nascosto nei container e recuperato grazie alla complicità di operatori portuali, per poi essere distribuito su tutto il territorio nazionale tramite una rete ben strutturata.

Tra i particolari emersi, anche un sequestro di persona avvenuto per regolare un debito di 45.000 euro legato a una partita di droga. Un uomo, appartenente alla cosca Alvaro, venne rapito dai rivali di Platì e rilasciato solo dopo un primo pagamento.  Attraverso legami con imprenditori compiacenti, le cosche erano riuscite a infiltrarsi anche in forniture per enti pubblici, come l’Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria, fornendo materiali come mascherine e guanti durante la pandemia.

“Le persone della cosca Alvaro – ha spiegato il procuratore aggiunto Stefano Musolino – erano pienamente inserite nel tessuto sociale, con un ruolo baricentrico e mai messo in discussione dalla comunità. Serve l’intervento di altre Istituzioni, perché solo la repressione non basta. Bisogna ritornare a considerare la ‘ndrangheta come un soggetto predominante in alcune dinamiche, dato che questi faccendieri si muovono nella fragilità del territorio”.

La magistratura ha documentato anche un episodio di scambio elettorale politico-mafioso: un’associazione a delinquere avrebbe procacciato voti in favore di una candidata alle elezioni regionali calabresi del 2020. La donna, poi non eletta, avrebbe beneficiato del supporto dell’organizzazione in cambio di future contropartite.

Coinvolti nell’inchiesta gli ex consiglieri regionali della Calabria Sebastiano Romeo del Partito democratico e Alessandro Nicolò, all’epoca di Fratelli d’Italia. Si tratta di “vecchie conoscenze” in ambito giudiziario. Romeo, infatti, ha affrontato alcuni procedimenti giudiziari (dai quali è fuoriuscito bene) Nicolò, negli anni scorsi, è stato coinvolto nell’inchiesta “Libro nero” ed è ancora sotto processo. Tra gli arrestati ai domiciliari figura invece l’ex assessore regionale Pasquale Tripodi , per il quale è stata esclusa l’aggravante mafiosa. Anche lui, molti anni fa, venne coinvolto in un’inchiesta antimafia, che non porterà alla sua condanna.

In questo filone d’indagine, coordinato dal procuratore aggiunto Walter Ignazitto, il Gip, pur non accogliendo una serie di richieste da parte della Dda, parla di “rastrellamento di voti” da parte della “squadra” messa insieme da alcuni soggetti già ampiamente noti alle cronache giudiziarie.

Un altro episodio riguarda una tentata corruzione di un magistrato della Cassazione: uno degli arrestati avrebbe consegnato 125.000 euro a un conoscente, sperando di “aggiustare” un processo penale a carico del fratello, Mino Muià, uomo forte della ‘ndrangheta di Siderno, poi ucciso nel 2018. L’intervento non andò a buon fine e l’intermediario fu condannato a otto anni.

Infine, le indagini hanno fatto luce sul ruolo di un indagato in un cold case del 1977: il sequestro e l’omicidio di Mariangela Passiatore, il cui corpo non fu mai ritrovato. Un crimine che riemerge oggi, a distanza di quasi mezzo secolo, grazie alle attività investigative ancora in corso.

Articoli Correlati