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Sfratto statua Mancini; Dragone: “Tentano di fare contro Mancini quello che non è riuscito ai neofascisti”

Tentano di fare quello che non è riuscito ai nazifascisti durante la Resistenza, ai neofascisti del Candido, ai corpi separati dello Stato, ai “boiachimolla”, ai falsi pentiti del terrorismo e ai falsi pentiti di mafia: rimuovere – ma forse sarebbe meglio usare il verbo eliminare – lo scomodo e indigesto Giacomo Mancini – così Sergio Dragone, giornalista, sceneggiatore, scrittore in una nota.

 

L’esultanza della maggioranza di sinistra al comune di Cosenza per l’ordinanza del tribunale di riconoscere il “potere discrezionale” dell’Amministrazione di rimuovere la statua del leader socialista dall’attuale collocazione sul corso Mazzini è agghiacciante. Tanto accanimento, tanto livore, tanta ostilità non hanno alcuna giustificazione, anche perché il provvedimento del giudice rimanda tutto ad una “decisione discrezionale” del Comune e quindi ad una decisione strettamente “politica” e non vincolata a presunti precedenti obblighi con la Fondazione Bilotti.

 

Il giudice, in sostanza, dice che il Comune non può collocare la statua avuta in comodato d’uso in altri siti se non concordato con la Fondazione Giacomo Mancini, ma conserva il “potere discrezionale” di restituirla in assenza di accordo. Cosa significa? Che il sindaco Franz Caruso ha deciso di sfruttare unilateralmente il suo potere “discrezionale” e quindi politico per rimuovere la statua di Mancini, con le buone (accordo con i comodanti) o con le cattive (restituzione). L’importante è spostare quel fastidioso “fardello” dalla vista di Palazzo dei Bruzi, quel palazzo che ha visto grazie a Giacomo i momenti più alti della vita amministrativa, sociale e culturale della Città.

 

Non mi è difficile collegare questa allucinante vicenda all’ostilità che la sinistra cosentina sta dimostrando alla candidatura a sindaco di Rende di un altro prestigioso socialista come Sandro Principe. E’ come se questa “nuova sinistra” voglia liberarsi dalla tradizione e dalla cultura politica che più di ogni altra ha segnato la storia e l’espansione di Cosenza, con le sue visioni alte, il suo pragmatismo, l’altissimo consenso ricevuto.

 

Non riesco a leggere diversamente – prosegue Dragone – quanto sta accadendo sulle sponde del Crati. D’altronde, l’entusiasmo che traspare dalla nota dei gruppi consiliari di maggioranza per la presunta vittoria in sede giudiziaria (io invece credo che siamo solo all’inizio della battaglia) e  il falso assunto riportato anche nell’ordinanza secondo cui “è venuto meno l’interesse pubblico al mantenimento della statua nell’attuale sito” (chiedere alle centinaia di persone che hanno partecipato al sit in a difesa dell’opera), non fanno altro che confermare il mio ragionamento. Quella che è in atto è una vendetta personale, ma anche una vendetta politica, ingiusta e insopportabile perché proviene dalla sinistra. Se così non fosse il sindaco avrebbe tentato una mediazione con la Fondazione alla ricerca di una soluzione condivisa, invece di agire a colpi di pec, delibere e ordini di servizio, nonché velenose interviste. 

 

Concludo – termina Dragone – con un mio pensiero personale: se la statua, alla fine della contesa giudiziaria, sarà restituita alla Fondazione Mancini e non sarà mai più esposta pubblicamente alle future generazioni, l’attuale Amministrazione di Cosenza si macchierà di un vero e proprio delitto politico post mortem, quello che non è riuscito ai nazifascisti, ai neofascisti del Candido, ai corpi separati dello Stato, ai boiachimolla, ai falsi pentiti del terrorismo e ai falsi pentiti di mafia. Che Giacomo ha puntualmente sconfitto.

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