“Pochi possono dirsi: “Sono qui”. La gente si cerca nel passato e si vede nel futuro” - Georges Braque
HomeCalabriaCosenzaFederazione Riformista di Rende: "Non ci sono le condizioni politiche e tecniche...

Federazione Riformista di Rende: “Non ci sono le condizioni politiche e tecniche per procedere alla fusione di Cosenza, Rende e Castrolibero”

Riceviamo e pubblichiamo il Documento della Federazione Riformista di Rende presentato e depositato in Prima Commissione Consiliare della Regione Calabria, durante l’audizione avvenuta oggi 3 agosto in merito alla proposta di Legge Regionale n.177/12^ sulla “Istituzione del nuovo Comune derivante dalla fusione dei Comuni di Cosenza, Rende e Castrolibero“, presentato da Fabio Liparoti, vice-segretario della Federazione Riformista di Rende, e Clelio Gelsomino, presidente della Federazione Riformista di Rende:

“L’attuale disegno di legge relativo alla fusione tra i Comuni di Cosenza, Rende e Castrolibero ci trova in netto disaccordo sia per quanto riguarda l’iter procedimentale che si è deciso di seguire, sia per il contenuto dello stesso.
È necessario ribadire come la fusione di Cosenza con Rende e Castrolibero non può avvenire mediante annessione del Comune capoluogo con le municipalità confinanti, al contrario deve essere frutto di un percorso partecipato con gli stessi Comuni interessati e con la cittadinanza. Le decisioni prese dal Consiglio Regionale mediante l’approvazione della c.d. legge Omnibus è indicatore di una volontà di procedere con un metodo di annessione.
La città di Rende vanta storia, tradizioni e cultura che non possono essere messe in discussione né tanto meno cancellate con un colpo di spugna. Sia chiaro un punto. Che Rende e la sua comunità credono molto alla collaborazione tra Comuni quali fattori di crescita di un territorio. È innegabile come oggi si parli di area urbana grazie all’attività politica e istituzionale portata avanti dal Comune di Rende almeno dal 1980 in poi. Numerose sono le opere realizzate in tal senso. Basti pensare all’Università della Calabria,
sede ideale del nuovo ospedale hub, al Viale Principe, al Parco Acquatico, al complesso Metropolis e al Parco Robinson soltanto a mo’ di esempio.
Così come ancora oggi i Comuni di Rende e di Cosenza possono vantare una dotazione infrastrutturale frutto di una visione realizzata mediante il PIT delle Serre Cosentine (all’epoca guidate dal Comune di Rende) e il PSU, risalenti ai primi anni del 2000. Entrambi sono documenti programmatici i cui contenuti, in minima parte inattuata, sono di forte attualità e che devono essere completati.
Questo a dimostrazione che vi è sempre stata la volontà politica di collaborare tra Cosenza e Rende quando questi erano guidate da Sindaci riformisti, illuminati e visionari.
Allo stesso tempo dobbiamo registrare come gli ultimi anni abbiano rappresentato un passo indietro nella collaborazione istituzionale. Siamo costretti a ricordare il fallimento del progetto della metropolitana leggera, la redazione di due distinti PSC, l’incapacità di omogeneizzare i servizi di raccolta dei rifiuti nonché l’incapacità di spesa dei fondi per la depurazione. Mentre agli inizi del 2000, i Sindaci di Rende e di Cosenza si incontravano almeno una volta a settimana, e in alcuni casi più giorni nella stessa settimana, in questi ultimi 10 anni abbiamo assistito ad incontri sporadici tra i due primi cittadini in cui non è stata partorita nessuna nuova idea o messo in cantiere ulteriori iniziative. In uno di questi meeting, a dimostrazione di come la politica non sia stata per nulla autorevole, la questione della conurbazione Cosenza- Rende era stata demandata ai segretari comunali (Sic!).
Riteniamo che non vi siano le condizioni politiche per procedere alla fusione del Comune capoluogo con Cosenza, Rende e Castrolibero. Sarebbe una fusione a freddo che sarebbe destinata al fallimento.
Riteniamo, invece, che siano maturi i tempi per sperimentare una Unione dei Comuni tra le citate municipalità che tenga conto anche di Montalto Uffugo. Mediante tale strumento si potrebbe verificare come realizzare economie di scala sui servizi quali i trasporti, la depurazione, il sostegno alla natalità e ai ceti sociali più svantaggiati, il sostegno alle PMI, alla valorizzazione dei beni culturali e dei centri storici.
Superata la fase della sperimentazione mediante l’Unione dei Comuni, si potrebbero creare le condizioni politiche per il passo decisivo in merito alla fusione degli stessi.
Fondamentale in tal senso sarebbe lo svolgimento di una consultazione referendaria che coinvolga l’intero corpo elettorale interessato con la previsione che lo stesso possa considerarsi valido laddove il SI alla fusione superi in ogni Comune il 50% dei voti validamente espressi.

Dobbiamo ricordare come la ratio sottesa ai processi di aggregazione e di fusione riguarda principalmente i piccoli Comuni (già Giannini negli anni 70 li definiva “comuni polvere”), che ad oggi si trovano ad affrontare diverse criticità legate alla corretta gestione della contabilità pubblica e più in generale della erogazione dei servizi. A sostegno di tale tesi si riporta un recente studio del Ministero dell’Interno (più per l’esattezza del Dipartimento per gli Affari interni e territoriali – Direzione Centrale della Finanza Locale) che dimostra come le fusioni abbiano fino ad ora coinvolto Comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 9.999 abitanti. Soltanto due sono i casi di fusioni sorte nella fascia tra 60.000 e 99.000 abitanti
ovvero Corigliano – Rossano e Pescara.
Ad ulteriore sostegno si invocano le norme contenute nella legge n. 56/2014 istitutiva delle Città Metropolitane che dedica spazio alle fusioni di comuni dai commi 104 a 141. In tali disposizioni normativa si fa più volte riferimento ai Comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti.
Tali richiami sono sicuramenti indicativi di come vi sia un favor da parte del legislatore, come si diceva poc’anzi, per i procedimenti di fusione tra i piccoli comuni.

L’attuale disegno di legge, invece, dispone la fusione tra il Comune capoluogo di Provincia, Cosenza e i confinanti comuni di Rende e Castrolibero. Tutti e tre appartenenti alla fascia di Comuni di medie.
Si veda ad esempio il comma 118 che espressamente prevede “al Comune isƟtuito a seguito di fusione tra comuni avenƟ ciascuno meno di 5.000 abitanƟ si applicano, in quanto compaƟbili, le norme di maggior favore, incenƟvazione e semplificazione previste per i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanƟ e per le unioni di comuni.
O anche il successivo 121: “gli obblighi di esercizio associato di funzioni comunali derivanƟ dal comma 28 dell’arƟcolo 14 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, converƟto, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni, si applicano ai comuni derivanƟ da fusione entro i limiƟ stabiliƟ dalla legge regionale, che può fissare una
diversa decorrenza o modularne i contenuƟ. In mancanza di diversa normaƟva regionale, i comuni isƟtuiƟ mediante fusione che raggiungono una popolazione pari o superiore a 3.000 abitanƟ, oppure a 2.000 abitanƟ se appartenenƟ o appartenuƟ a comunità montane, e che devono obbligatoriamente esercitare le funzioni fondamentali dei comuni, secondo quanto previsto dal citato comma 28 dell’arƟcolo 14, sono esentaƟ da tale obbligo per un mandato eleƩorale.”
È evidente come un processo di fusione di questo tipo necessiti di una diversa ponderazione
da parte del legislatore regionale.
In particolare, esso manca di un accurato studio di fattibilità dalla quale si possano evincere quali siano i vantaggi e gli svantaggi della fusione ed in particolare quali economia di scala si possano realizzare.
Infatti, non possono e non devono essere sottaciuti alcune problematiche che emergono a primo impatto in materia di contabilità pubblica degli enti locali. Più nello specifico, la già citata legge n. 56/2014 prevede una norma che astrattamente incoraggia i processi di fusione. L’art. 1 comma 132 prevede, infatti, che “i comuni risultanti da una fusione, ove istituiscano municipi, possono mantenere tributi e tariffe differenziati per ciascuno dei territori degli enti preesistenti alla fusione, non oltre l’ultimo esercizio finanziario del primo
mandato amministrativo del nuovo comune”.
Tale disposizione normativa, applicata nella fattispecie odierna di fusione tra il Comune di Cosenza, Rende e Castrolibero comporta più di un problema. Ad oggi il Comune di Cosenza si trova in una situazione di dissesto finanziario ex art 244 e ss. D.lgs. 267/2000 e il Comune di Rende in situazione di predissesto finanziario con annesso piano di riequilibrio. Il Comune di Castrolibero nel corso degli anni è riuscito a non ricorrere a nessuno dei due istituti. Il dissesto di un Comune comporta, come noto, l’innalzamento all’ aliquota massima di tariffe e tributi almeno fino a quando il bilancio non possa dirsi stabilmente riequilibrato.
In base al tenore letterale della norma, terminato il primo mandato amministrativo del nuovo Comune, si correrebbe il rischio che gli effetti del dissesto del Comune di Cosenza che a quella data è ragionevole pensare sia ancora in essere gravino sull’intera cittadinanza in quanto il nuovo ente sia costretto ad un innalzamento di tariffe e tributi generalizzato.
Ma vi è di più. Secondo quanto previsto dall’art. 2 del progetto di legge, il Comune di nuova istituzione subentra nella titolarità di tutti i beni mobili e immobili e di tutti i rapporti giuridici attivi e passivi dei Comuni oggetto della fusione. Non manca in dottrina chi ritiene che il piano di riequilibrio di cui all’art. 243 bis quater D. lgs. 267/00 (quindi per i Comuni in pre-dissesto) non sia trasferibile in quanto si riterrebbe non adempiuto con possibile obbligo di restituzione della quota di fondo di rotazione. Per quanto riguarda i Comuni in dissesto, invece, occorre tener presente l’esclusiva disponibilità del patrimonio comunale per ripianare il disavanzo di amministrazione sia assegnata esclusivamente all’organo straordinario di liquidazione.

Ulteriore questione che merita di essere affrontata e che richiede uno studio di fattibilità è relativa alle entrate tributarie. Infatti, i processi di fusione possono comportare una maggiore capacità di spesa da destinare a servizi. Dall’altro lato si riscontra, per i nuovi Comuni, una flessione dell’1, 40% di riscossione per la voce Imposte, tasse e proventi assimilati (Si veda sul punto Ministero dell’Interno, Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali, “la fusione dei comuni. Lo stato di attuazione. Profili ordinamenti e finanziari”).
A destare ulteriore preoccupazione è quanto previsto dall’art. 1 co. 133: “i comuni risultanti da una fusione hanno tempo tre anni dall’istituzione del nuovo comune per adeguarsi alla normativa vigente che prevede l’omogeneizzazione degli ambiti territoriali ottimali di gestione e la razionalizzazione della partecipazione a consorzi, aziende e società pubbliche di gestione, salve diverse disposizioni specifiche di maggior favore.”
Il periodo temporale indicato nella norma richiamata è relativamente breve e impone per il nuovo Comune l’attuazione di adempimenti che necessitano di un adeguato approfondimento, soprattutto in relazione alla situazione del Comune capoluogo. È fatto notorio, soltanto a titolo esemplificativo, che nel Comune di Cosenza il servizio di mobilità urbana sia erogato da parte dell’A.M.A.C.O. che si trova attualmente in concordato preventivo. Per quanto riguarda la città di Rende, invece, esso è svolto dal Consorzio Autolinee che può contare al suo attivo numerose corse da e per l’Università della Calabria.
È evidente come l’omogeneizzazione dei servizi di trasporto riguardi l’ambito urbano ed extra-urbano rispetto anche al rapporto concessorio con la Regione Calabria.

Si riscontra, infine, una evidente lacuna normativa in materia di decentramento amministrativo e partecipazione alla vita democratica. L’attuale disegno di legge, a differenza di altre leggi regionali, non prevede la possibilità di istituire i municipi quali enti intermedi tra il nuovo Comune frutto di fusione e i cittadini. Probabilmente il legislatore regionale demanda tale incombenza al nuovo Statuto i cui tempi di attuazione non sono certi. (Si veda l’esperienza di Corigliano – Rossano dove l’approvazione del nuovo
Statuto è avvenuta a distanza di alcuni anni dall’esito della prima consultazione amministrativa).
Riteniamo, quindi, che non vi siano le condizioni politiche e tecniche per procedere verso una fusione dei comuni di Cosenza, Rende e Castrolibero”.

Articoli Correlati