di Roberta Mazzuca – “Stiamo ricostruendo un edificio ridotto in macerie”, affermava il presidente Roberto Occhiuto presentando le misure volte a risollevare la sanità calabrese, ponendosi come primo obiettivo quello di ovviare alla carenza di medici e operatori sanitari. Una carenza di personale presentata come vera e propria piaga di una sanità ormai disastrata, un’emergenza così grande da dover ricorrere ai famosi medici cubani, arrivati peraltro in numero decisamente esiguo rispetto a quanto annunciato. E se, invece, si scoprisse che il personale non è poi così carente? E se si scoprisse che, anzi, è perfino superiore a quello di altre regioni italiane, ma che, collocandosi all’interno di un sistema marcio e guasto, ha come conseguenza più evidente quella di avere corsie vuote e uffici pieni?
“Corsie vuote e uffici pieni. Tutti i numeri dei medici imboscati”. È proprio questo il titolo della conferenza stampa convocata in mattinata da Davide Tavernise, durante la quale, numeri alla mano, il capogruppo del M5S al Consiglio regionale della Calabria ha messo in luce le tante incongruenze della mancanza di personale negli ospedali calabresi. “Almeno 62 sono le unità di personale sanitario impiegato in attività rientranti nel ruolo amministrativo o comunque adibito a mansioni diverse da quelle per le quali è stato assunto. Almeno 508 invece le unità di personale sanitario con idoneità certificata o idoneità con prescrizioni limitanti per lo svolgimento delle mansioni per la quale è stato assunto. Il bilancio parziale vede dunque circa 570 tra medici e infermieri sottratti in tutto o in parte alle corsie ospedaliere e destinati a ruoli amministrativi” – afferma Tavernise. Insomma, in poche parole, medici e operatori sanitari retribuiti come tali, ma sottratti alla mansione per cui sono stati assunti, in favore di altre che non dovrebbero svolgere. I cosiddetti “medici imboscati”, già vecchi protagonisti anche della trasmissione televisiva “Le iene”, in cui l’inviato Gaetano Pecoraro smascherava, precisamente negli ospedali di Taurianova, Cittanova e Melito Porto Salvo, medici del 118 che dirigevano scuole di formazione, biologi che si occupavano di servizi navette, oculisti che si improvvisavano direttori ospedalieri senza averne neanche i requisiti.
I dati raccolti dal capogruppo del M5S, dunque, seppur parziali, rivelano una realtà ancora più critica di quella disvelata dall’inviato delle Iene. Una realtà che, se confrontata con quella di regioni come la Liguria, simile in densità di popolazione a quella calabrese, mostrano tutta la debolezza dell’ormai atavica giustificazione alla negazione del diritto alla salute nella regione Calabria: “Manca il personale”. Eh no, il personale non manca: i dati rivelano – come spiega lo stesso Tavernise – che, mentre nel 2020 in Liguria il personale impiegato equivale a circa 14.832, quello in Calabria è di 17.698, anche se al maggior personale impiegato non corrisponde la qualità del servizio sanitario erogato.
Entrando nel dettaglio, “Da ottobre – spiega il capogruppo del M5S – stiamo cercando di capire, attraverso accessi agli atti a tutte le aziende sanitarie provinciali e ospedaliere, quante persone, ad oggi, svolgono un ruolo diverso rispetto a quello per cui sono state assunte. E vi posso assicurare che non è stato semplice. Prima abbiamo fatto un accesso agli atti alle Asp e alle aziende ospedaliere, senza ricevere risposta. Abbiamo poi scritto ai responsabili della trasparenza e della corruzione, e da lì abbiamo iniziato ad avere qualche dato”.
Il primo a rispondere è il GOM di Reggio Calabria, in cui il personale adibito ad attività amministrativa o diversa da quella per il quale è stato assunto è di 4 dirigenti medici e 4 infermieri. Altri 8 infermieri hanno invece un’inidoneità certificata. “Dati, fin qui, non troppo allarmanti” – commenta il capogruppo, che però prosegue: “Nel frattempo, abitando sullo Ionio, durante un sopralluogo nello Spoke di Corigliano-Rossano, ogni primario mi chiedeva infermieri in più. Allora vado all’Asp di Cosenza e comunico le loro istanze. L’Asp risponde che il piano di fabbisogno è completo, e che quindi lo Spoke ha tutti gli infermieri previsti. Tornando a parlare con la direzione dell’ospedale di Corigliano-Rossano, mi rendo allora conto che ha in dotazione 318 infermieri, ma ne lavorano 266”. Nel solo Spoke di Corigliano-Rossano, dunque, 51 infermieri con idoneità con prescrizioni limitanti, che non consentono a molti di loro di fare sforzi fisici, essere assegnati a turni notturni, né affrontare turni di reperibilità.
“Da qui mi rendo conto che il problema fondamentale è quello delle inidoneità”. Così il capogruppo riformula una nuova richiesta agli atti, chiedendo conto non solo di chi fosse stato spostato dalla sua funzione originale, ma anche chi potesse avere delle inidoneità, parziali e non. “E qui si è aperto un altro mondo. Ho anche nomi e cognomi che ovviamente non posso fare. Abbiamo scoperto, ad esempio, che soltanto all’Annunziata ci sono 3 medici spostati in funzioni amministrative, e 24 collaboratori professionali sanitari adibiti ad attività amministrative”. Complessivamente, 27 unità soltanto all’Hub Annunziata – Mariano Santo. “Ma, tenetevi forte, ben 99 unità di cui 18 medici e 81 collaboratori professionali sanitari, che hanno ricevuto un giudizio di idoneità con prescrizioni limitanti. E troviamo delle prescrizioni veramente incredibili: ’11 tra infermieri e Oss da adibire ad attività ambulatoriale, 46 da non impiegare in turni notturni, 35 da non impiegare nella movimentazione dei pazienti e nel sollevamento dei carichi, 8 inidonei all’assistenza sanitaria diretta con i pazienti, un medico non idoneo all’attività in sala operatoria, 9 da non impiegare in mansioni comportanti stazione eretta prolungata, e così via’”. In sostanza, 140 persone che non svolgono il lavoro per cui sono state assunte.
Ancora, spostandosi su Crotone, nei distretti di Cirò Marina e Mesoraca, e nella neuropsichiatria infantile e il dipartimento di prevenzione, si trovano 62 unità idonee con limitazioni e altre 26 con limitazioni e prescrizioni. Risponde poi l’azienda provinciale di Catanzaro, che comunica “che sono 6 i dipendenti facenti capo al distretto di Soverato adibiti ad attività amministrative, altri 9 in possesso di inidoneità certificata, 10 in possesso di idoneità con prescrizioni fortemente limitanti, 2 in attesa di prescrizione medica, e altri 2 in attesa di visita medica. Il Dipartimento di Medicina e delle Specialità Mediche ci dice invece che sono 49 i dipendenti con prescrizioni e limitazioni su 359 dipendenti assegnati”.
Ancora, il ‘Pugliese Ciaccio’ di Catanzaro ha 3 medici che svolgono attività amministrative, e poi altre 18 unità con inidoneità certificata. Mentre nel ‘Mater Domini’ 5 dipendenti che hanno avuto un cambio di profilo per inidoneità permanente, e 7 dipendenti in possesso di relativa certificazione di inidoneità.
Grandi assenti l’Asp di Cosenza, Vibo e Reggio Calabria, di cui ancora oggi non si ha alcuna risposta: Cosenza si discolpa del mancato riscontro con l’impossibilità di svolgere questo tipo di attività di ricognizione per mancanza di personale, riproponendo quasi beffardamente quel mantra che giustifica inefficienza e inadeguatezza ormai in ogni settore regionale. I dati sono parziali, dunque, ma evidenziano già abbondantemente come il problema della sanità calabrese non sia, alla fin fine, la mancanza di personale, ma il modo in cui quest’ultimo viene poi gestito, in un paradosso tutto calabrese nel quale puoi non svolgere il lavoro per cui ti sei proposto, per cui sei stato assunto, e per il quale vieni pagato, e allora rimani lì, a svolgerne un altro qualsiasi: riassumendo, con 4 aziende ospedaliere, l’Asp di Crotone e una parte dell’Asp di Catanzaro, sono state trovate 62 unità che svolgono altre mansioni diverse da quelle per cui sono stati assunte, e altri 508 in possesso di inidoneità. In totale, 570 unità.
“Stiamo parlando di medici cubani, di carenza di personale, che in Calabria non vuole venire nessuno, della facoltà di medicina a Cosenza e Reggio, e va bene tutto. Ma sono tutte azioni che mettono una pezza al buco. Nel confronto con altre regioni, poi, emerge ancora di più come questa carenza di personale che Occhiuto lamenta non esiste. La Liguria, ad esempio, ha 10.800 sanitari, la Calabria 12.557. Di questi, la Liguria ha 2.426 tecnici, la Calabria 3.183. La Liguria 2.223 medici, la Calabria 3.574. La Liguria 6.483 infermieri, la Calabria 6.992. Quindi, questa carenza di personale, realmente, in Calabria non esiste”.
“Oggi siamo qui non tanto per denunciare”, – conclude Tavernise – ma perché non è possibile che le inidoneità vengano date dal medico competente, che è un collega rispetto a medici, infermieri e Oss ai quali quella inidoneità viene certificata, con il rischio che il suo parere medico possa essere soggettivo”. Il capogruppo del M5S propone, allora, sostanzialmente tre soluzioni: una ricognizione completa del personale sanitario cosiddetto “imboscato”; che sia un’ente esterno, come l’INPS, a valutare le inidoneità; e che le inidoneità certificate portino a una rivisitazione della pianta organica: chi non svolge le mansioni di medico verrà così conteggiato nel personale amministrativo. “Già, perché oltre al danno, anche la beffa. Chi non svolge il proprio ruolo di medico, ad oggi, viene comunque retribuito come tale. La mia proposta di legge non è stata neanche calendarizzata nel governo di centrodestra, indice che non c’è neanche la volontà di comprendere realmente il fenomeno”.
I medici li abbiamo, dunque, in Calabria, almeno sulla carta. Medici che non possono svolgere turni di notte, turni di reperibilità, o determinate mansioni tipiche del loro ruolo, provocando così una rottura totale dell’intero sistema. “Mi aspetto che dopo 18 mesi di commissariamento Occhiuto passi dalle parole ai fatti. Azienda Zero non è funzionante, gli ospedali di Cariati, Praia a Mare e Trebisacce sono stati rimessi in un piano operativo non ancora approvato dal Tavolo Adduce, aveva promesso 491 medici cubani e ne sono arrivati soltanto 53, tutti nella provincia di Reggio Calabria. Il Presidente ha detto in un suo comizio che voleva raccontare una Calabria che non si aspettava, ma dopo 18 mesi nulla è cambiato”.