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Operazione “Galassia”, la Cassazione annulla confisca dei beni dell’imprenditore barese Antonio Ricci: la Corte d’Appello di Reggio Calabria dovrà rivalutare il caso

La Corte di Cassazione ha annullato, con rinvio, il decreto della Corte d’Appello di Reggio Calabria che, previa esclusione della misura personale irrogata in primo grado, aveva confermato la confisca di beni per milioni di euro nei confronti di Antonio Ricci, titolare tra l’altro di Oia Services, società che gestisce il marchio Betaland. L’imprenditore pugliese, riporta Agipronews, era stato coinvolto nel procedimento penale noto come “Operazione Galassia” e aveva visto sequestrato e poi confiscato il proprio patrimonio. Per la quinta Sezione della Cassazione, che pochi giorni fa ha cancellato il provvedimento, la confisca è di fatto illegittima e sproporzionata. La Suprema Corte ha accolto il ricorso della difesa, ravvisando gravi carenze nella motivazione del provvedimento impugnato, specie nella valutazione della cosiddetta “pericolosità sociale generica”.

LA VICENDA – Antonio Ricci era stato sottoposto a misure di prevenzione personali e patrimoniali per presunta pericolosità sociale. Al centro dell’indagine, la sua presunta partecipazione a un’associazione a delinquere finalizzata alla raccolta illecita di scommesse tramite siti web non autorizzati, la cui gravità indiziaria era stata esclusa sin dalla fase delle indagini preliminari con altro annullamento della Cassazione.

La Corte d’Appello aveva confermato la confisca di società con sede a Malta (tra cui OIA Services Ltd e Harvey Gaming), di due trust e di consistenti disponibilità finanziarie.

LE CENSURE DELLA DIFESA – Ricci, rappresentato dall’avvocato Gaetano Sassanelli, ha impugnato il decreto sostenendo che il patrimonio investito non era contaminato – in quanto documentalmente provato come legittimo – e che la confisca si fondava anche su vicende giudiziarie che avevano escluso la responsabilità del ricorrente. Secondo la difesa, l’uso di tali elementi per sostenere la “pericolosità generica” dell’imputato violava i principi costituzionali e giurisprudenziali. Inoltre, il ricorso contestava l’assenza di un adeguato riscontro tra i beni confiscati e il periodo di pericolosità presunta, nonché l’erroneo mancato riconoscimento della legittimità di alcune provviste economiche utilizzate per la costituzione dei trust.

LE MOTIVAZIONI DELLA CASSAZIONE – La Suprema Corte ha ritenuto fondato il primo motivo di ricorso, ritenendo assorbiti in questo anche tutti gli altri motivi proposti, giudicando illegittima la decisione della Corte d’Appello, soprattutto in merito al necessario nesso temporale tra pericolosità sociale presunta e acquisizione dei beni. I giudici di legittimità hanno richiamato il principio secondo cui la pericolosità deve fondarsi su “delitti commessi abitualmente”, produttivi di profitto illecito, e che costituiscono una fonte rilevante di reddito: requisiti che non sono stati adeguatamente verificati. In particolare, la Cassazione ha criticato la valorizzazione di vicende penali archiviate o concluse con assoluzioni, sottolineando come ciò non possa legittimare una misura così invasiva come la confisca di prevenzione. La decisione ha altresì evidenziato l’assenza di una “perimetrazione cronologica” tra i fatti delittuosi e i beni confiscati.

I PROSSIMI SVILUPPI – La Corte ha disposto il rinvio per un nuovo giudizio alla Corte d’Appello di Reggio Calabria, in diversa composizione, fornendo indicazioni rigide sui criteri a cui attenersi in sede di rinvio, affinché rispettino le ragioni che hanno determinato l’annullamento. Sarà ora compito dei giudici di merito rivedere il caso, alla luce delle indicazioni della Cassazione, verificando con maggiore rigore il nesso tra condotte illecite e accumulo patrimoniale. La Cassazione sottolinea la necessità di ancorare la confisca a elementi certi e temporalmente coerenti, in un’ottica di garanzia e rispetto dello Stato di diritto.

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