“Quando ho letto il capo di imputazione che mi è stato recapitato dopo la querela di Rocco Papalia, in forma di avviso di conclusione dell’indagine che contiene la seguente frase, ‘il giornalista è stato accusato di aver leso la reputazione di Papalia vestendolo da donna con l’aggravante di aver arrecato l’offesa mediante un mezzo di pubblicità, ossia i manifesti pubblici’ da gay mi sono sentito umiliato, minacciato e intimidito, ma questa volta non dalla ‘Ndrangheta bensì dalle leggi di uno Stato che attribuirebbe al travestitismo una valenza negativa, come fossimo dei ladri o dei narcotrafficanti “.
Lo ha dichiarato Klaus Davi, processato per aver affisso dei manifesti a Buccinasco che ritraevano il boss della ‘Ndrangheta Rocco Papalia vestito da donna.
“Solo 20 giorni fa mi hanno recapitato una busta con proiettili con minacce di morte esplicite. Nel merito sta indagando la Dda di Reggio Calabria – come hanno dichiarato il dottor Giovanni Bombardieri capo della DDa di Reggio Calabria nonché il questore Bruno Megale ai mezzi di informazione – e leggere quelle parole messe nero su bianco mi ha profondamente ferito. Vestirsi da donna ed essere gay non è una offesa, non è una diminutio, non c’è nulla di lesivo in questo e sono modi di essere che non hanno alcun valore ‘diffamatorio’. Meno che meno un poster puo’ compromettere la reputazione (quale reputazione? non è specificato nella comunicazione giudiziaria se il riferimento è alla virilità, alla reputazione criminale o di semplice cittadino ) di un acclarato esponente della mafia calabrese. I gay e i travestiti venivano bruciati nei campi di concentramento ad Auschwitz, Dachau, Birkenau. Siamo stati ‘gasati’ per la nostra diversità oltre 10 mila morti nei Lager. Alla memoria di travestiti, tramsessuali e gay e’ dedicato un intero settore dello Yad Vashem in Israele . Lo Stato italiano non può sostenere una simile accusa e non può assolutamente avvallare la tesi che il vestirsi da donna sia in se un e se un fattore degradante per la reputazione di un cittadino. Da omosessuale minacciato di morte dalla ‘Ndrangheta, da oppositore dell’anti-mafia da salotto – citando la mia amica Lucia Annunziata – affermo che da un simile Stato noi omosessuali, noi travestiti, noi transgender dobbiamo rumorosamente difenderci: perché queste sono norme e accuse gravissime, se formulate da uno Stato di diritto che presuppone l’uguaglianza fra i cittadini.. Da cittadino messo nel mirino dalla cosca Borghetto (ordinanza ‘Garden’ Guardia di Finanza, 58 citazioni in oltre 35 pagine), dalla Cosca Alvaro (ordinanza ‘Propaggine’ della Dia Direzione Investigativa Anromafia , 20 citazioni in venti pagine ), dalle cosche di Limbadi (dichiarazioni del collaboratore Emanuele Mancuso in varie sedi ) mi sento ulteriormente minacciato da queste normative e doppiamente umiliato se queste norme vengono ventilate per ristabilire la reputazione di un capo ‘Ndrangheta . Pertanto chiedo al legislatore che le norme – se esistono – a cui fa riferimento il capo di imputazione della Procura di Milano ; norme per le quali io sono imputato un un processo a Milano, vengano immediatamente abolite perché sarebbero gravemente discriminatorie. Ricordo al legislatore che noi gay, travestiti, transgender che ‘roviniamo la reputazione di un capo mafia’ siamo stati gasati per la nostra diversità nel nome di una normativa (quella si esistente) inasprita dai Nazionalsocialisti nel 1930: il paragrafo 175 che invito tutti a rileggere perché indica scelleratamente nel travestitismo e nell’omosessualità dei valori ‘intrinsecamente’ e degradanti per l’essere umano”.