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Caso Cospito, Di Giacomo (S.PP.): “Il clima di buonismo che si sta diffondendo contro il 41bis trova terreno fertile in ambienti dell’Unione Europea e nelle campagne sui diritti dei detenuti a regime duro”

“A parte le manifestazioni di anarchici a Bologna come all’Università di Roma, le minacce di
attentati, che hanno assunto aspetti da non sottovalutare, desta molta preoccupazione il
clima di buonismo che si sta diffondendo intorno al “caso Cospito” contro il 41 bis e che
trova terreno fertile in ambienti dell’Unione Europea e nelle campagne sui diritti dei
detenuti a regime duro”. Così il segretario generale S.PP. – Sindacato Polizia Penitenziaria –
Aldo Di Giacomo che aggiunge: “non basta da parte dei più autorevoli esponenti del
Governo Meloni ripetere che il 41 bis non si tocca. È tempo che si risponda alla campagna
alimentata in ambienti Ue spiegando che soprattutto la ‘ndrangheta è diventata un
fenomeno europeo e quindi una minaccia sempre più concreta contro i cittadini europei. Se
a Bruxelles o a Strasburgo o nelle capitali europee pensano che la ‘ndrangheta sia
un’organizzazione criminale calabrese o tutt’al più diffusa nel nord Italia evidentemente non
conoscono o fingono di non conoscere i traffici di droga, affari, che sono guidati dalle
cosche ‘ndranghetiste oltre che mafiose e camorriste.

Non sfugga – continua Di Giacomo – che lo sbarco della ‘ndrangheta nei Paesi Europei, non
certo di recente, trova di fatto terreno fertile nei sistemi penitenziari di quei Paesi a
differenza del nostro che con il carcere ostativo e il 41 bis si pone l’obiettivo prioritario
(anche se non sempre ci riesce) di evitare che dal carcere si continui a svolgere traffici
criminali. Senza sottovalutare i cambiamenti avvenuti e le nuove tecniche usate dalla mafia
2.0. La mafia si è modernizzata, più di quanto possiamo immaginare e come confermano
autorevoli magistrati utilizza, già da tempo, piattaforme informatiche”.

Per il segretario del Sindacato Polizia Penitenziaria “c’è un altro aspetto della questione che
ha una stretta relazione: il reato di tortura così come è attualmente configurato è uno
strumento di ricatto contro la polizia penitenziaria che ha le mani legate ed è costretta a
volgere l’altra guancia non solo in occasioni ripetute di aggressioni. Diventa questo un
modo per svuotare il 41 bis perché ai più violenti si concede una sorta di patente di
impunibilità. Sia chiaro – dice Di Giacomo – non abbiamo mai pensato di abolirlo ma di
riformularlo anche alla luce delle profonde novità intervenute nelle carceri con la presenza
di gruppi criminali, babygang, estremisti islamici e appartenenti alla mafia nigeriana”.

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