Nell’operazione ‘Sisma’ dei carabinieri di Mantova, coordinati dalla Dda di Brescia, la figura centrale è un architetto, Giuseppe Todaro, 36 anni, descritto nell’ordinanza di custodia cautelare “libero professionista” che, però, ebbe dall’agosto del 2014 almeno fino al 31 dicembre del 2021, “in via continuativa” l’incarico di “tecnico aggiuntivo esterno presso gli uffici tecnici dei Comuni mantovani ricadenti nel cratere sismico, occupandosi dell’istruttoria delle istanze di contributo regionale per la ricostruzione e la ristrutturazione di immobili danneggiati dal terremoto del 2012”.
L’inchiesta Sisma nasce da un esposto trasmesso dalla “Struttura commissariale per l’emergenza e la ricostruzione di territori lombardi colpiti dagli eventi sismici del 20 e 29 maggio 2012”, istituita dalla Regione Lombardia, nel quale erano raccolte le lamentele di un imprenditore per i comportamenti di Todaro. Nell’ordinanza si sottolineano i “rapporti di parentela tra Todaro e soggetti certamente appartenenti (con ruoli di spicco) alla cosca Dragone di Cutro, storicamente contrapposta a quella dei Grande Aracri.
Per il gip che ha disposto gli arresti per le presunte concussioni e corruzioni nella ricostruzione di edifici lesionati nel Mantovano dal terremoto del 2012 con l’aggravante delle finalità mafiose “nessun dubbio può nutrirsi – sulla scorta delle indagini dei carabinieri di Mantova, coordinati dalla Dda di Brescia – circa l’attualità dell’impiego del metodo mafioso da parte della consorteria , e più in particolare della sua propaggine attiva nel territorio reggiano-mantovano”.
L’architetto Giuseppe Todaro, spalleggiato dal padre Raffaele, durante i colloqui registrati dagli investigatori, “rivendica orgogliosamente la propria posizione derivante dal proprio ‘prestigio mafioso’, sia la ricchezza nel frattempo accumulata dal suo nucleo familiare, non mancando di veicolare minacce, esplicitando la fama criminale e la capacità offensiva della cosca, secondo i classici sistemi mafiosi ogniqualvolta fosse necessario riaffermare la sua ‘autorità”.
Nell’inchiesta un solo imprenditore ha esplicitato direttamente le accuse nei confronti dell’architetto legato alla cosca ‘Dragone’ che manovrava per affidare i lavori in cambio di un 3% dell’appalto; un altro è stato inizialmente reticente per poi raccontare le pressioni avute da Todaro, gli altri, invece, traevano un vantaggio, tanto che sono accusati di corruzione.